Le borse europee archiviano la tempesta dei dazi con un’accelerazione che ha del sorprendente e un recupero quasi perfetto a “V” dai minimi di inizio aprile e rilanciando le ambizioni dei principali listini del Vecchio continente, guidati da Milano e Francoforte; Piazza Affari – in particolare – ha raggiunto un balzo del 15% in meno di un mese, riportandosi così a ridosso della soglia dei 40mila punti – un traguardo già sfiorato a marzo – e ridando slancio a un mercato che appariva smarrito.
La reazione dei mercati azionari europei ha dunque smentito le previsioni più pessimiste che avevano accompagnato la pubblicazione della tabella shock dei dazi annunciata da Donald Trump lo scorso 2 aprile (il cosiddetto “Liberation Day”) che aveva gettato nel panico le borse europee e mondiali, facendo schizzare il VIX – l’indice della paura – oltre quota 50: un livello che non si vedeva dai giorni bui del Covid ma la tensione comunque rimane in particolare nei confronti della Cina e degli Stati Uniti, dove gli effetti della guerra commerciale continuano a pesare sull’equilibrio finanziario globale, una realtà con cui gli investitori devono fare i conti quotidianamente.
Francoforte e Milano – le capitali della ripresa europea – hanno risposto con un’impennata vertigionosa, favorita dal congelamento parziale delle tariffe verso l’UE e da un calendario di distribuzione dividendi particolarmente generoso: l’indice Dax 40 tedesco è a meno del 2% dai suoi massimi mentre il Ftse Mib italiano si avvicina nuovamente ai livelli record e questo sprint ha attirato gli investitori globali in cerca di rendimenti stabili e sicuri in un contesto di incertezza geopolitica, rafforzando la posizione dei listini europei come un’oasi di stabilità in un contesto caratterizzato da tensioni protezionistiche e debolezze economiche persistenti.
Ma lo scenario rimane fragile e precario con la Cina che arranca tra dati manifatturieri in contrazione e fiducia dei consumatori ai minimi termini mentre gli Stati Uniti lottano con una ripresa disomogenea spinta dai soli colossi tech ma zavorrata da un debito pubblico che ha ormai sfondato i 34 trilioni di dollari.
Borse europee: le stime sugli utili raffreddano l’entusiasmo dei listini europei
Il panorama economico resta quindi profondamente diviso: da un lato, le Borse europee sembrano trarre beneficio dal ritorno di fiducia, trainate da dividendi elevati e fondamentali solidi ma dall’altro, i mercati americani mostrano una ripresa più fragile, condizionata da elementi di vulnerabilità e da una crescente diffidenza verso il dollaro con il Nasdaq che ha recuperato un 14%, l’S&P 500 che ha messo in rassegna otto sedute consecutive al rialzo ma resta ancora sotto del 10% dai massimi di febbraio e il comparto tecnologico ancora colpito dalla correzione primaverile.
L’ETF Mags – che racchiude le “Magnifiche 7” – è ancora a -21% dai top di dicembre e in questo quadro disomogeneo, il peso delle politiche sui dazi resta un interrogativo non di poco conto: mentre Trump annuncia via social colloqui con Xi Jinping – senza alcuna conferma ufficiale da Pechino – gli operatori valutano con cautela l’impatto dei dazi su energia, industria e consumi. Le stime sugli utili 2025, infatti, sono già in calo dell’1,7% a livello europeo con settori come l’energia penalizzati da tagli previsti fino al -26% nel trimestre: un crollo netto, in forte contrasto con i comparti tech (+12%) e finanziari (+4%) che sembrano per ora reggere meglio l’urto dell’instabilità globale.
In Italia, le previsioni non sono più rosee: i dati raccolti da Intermonte mostrano una riduzione del 7% delle attese sugli utili da inizio anno, con la possibilità – tutt’altro che remota – di altre revisioni al ribasso nei prossimi mesi e a pesare è soprattutto il rischio di rallentamento che potrebbe – in assenza di una de-escalation diplomatica nella guerra commerciale tra le superpotenze – configurarsi come vera e propria recessione. Se il 2024 era già stato un anno difficile per molte big quotate, il 2025 per le borse europee si apre sotto il segno della prudenza, dell’instabilità e di un equilibrio finanziario sempre più difficile da mantenere in assenza di certezze macroeconomiche condivise.