L’Europa League è un paradosso. Pensateci: l’Inter ieri sera ha perso 3-0 a White Hart Lane compromettendo la qualificazione ai quarti di finale. Una sconfitta che ci può stare (magari non nel punteggio) tenendo conto dello scarso stato di forma dei nerazzurri e soprattutto di una squadra, quella inglese, in un momento di condizione straordinaria, difficilissima da affrontare in casa sua e con individualità tra le migliori in Europa (Bale e Lennon su tutti). Eppure, il tonfo della banda Stramaccioni ha fatto molto più rumore di un altro 0-3, quello che il Napoli aveva incassato al San Paolo contro il modesto Viktoria Plzen, che per inciso ha perso in casa contro il Fenerbahce giusto una mezza giornata fa. Com’è possibile? Semplice: la scorsa estate Walter Mazzarri e Aurelio De Laurentiis avevano intonato a chiare lettere il loro mantra. “L’Europa League sarà una palestra per giovani e seconde linee, puntiamo al campionato”. E’ bastata questa affermazione per chiarire il concetto: se il Napoli va male nel Vecchio Continente non bisogna stupirsi: è stato detto, è una politica societaria. Che, anzi, è stata quasi lodata perchè poi in serie A i partenopei hanno mantenuto fede alle promesse, pur con qualche punto di troppo lasciato per strada. La povera Inter invece, che sull’Europa aveva detto di investire energie e speranze, è stata oggetto di dita puntate e feroci critiche anche quando ha aperto pareggiando in casa contro il Rubin Kazan. Potere della comunicazione, ma il punto focale della questione è che questa manifestazione, da quando si è fusa con la Coppa delle Coppe (1999), ha perso appeal ed viene considerata come un torneo di serie B, una sorta di rifugio per chi ha fallito l’assalto alla Champions League. Pensateci: chi non arriva nelle prime posizioni in campionato gioca l’Europa League, chi viene eliminato dalla coppa dalle grandi orecchie va a giocare in Europa League. C’è già una sorta di aria da retrocessione insita nella formula e nelle modalità di qualificazione. Un tempo non era così: se vincevi in patria andavi a giocare la Coppa del Campioni, e siccome il campionato poteva vincerlo solo una squadra la Coppa UEFA era comunque un vanto. Oggi in Champions League ci sono due, tre, anche quattro squadre per Paese: logico che chi non riesca ad entrarvi consideri in sè e per sè una sconfitta il fatto di disputare l’altro torneo, quello “minore”. Poi succede qualcosa di interessante: si arriva ai quarti di finale (o anche agli ottavi), si guarda il tabellone e si dice: “Però, che belle sfide”. E si celebrano squadre come l’Atletico Madrid di Simeone, o si fanno follie per i calciatori dell’Athletic Bilbao che raggiungono la finale a suon di grandi prestazioni. Solo tra marzo e aprile però: prima è quasi una noia per chi guarda, e un fastidio per chi gioca. In Italia soprattutto: emblematico fu il caso dell’Empoli, che raggiunse una storica qualificazione in Coppa UEFA, brindò fino all’eccesso e quando si trovò a esordire in Europa fece giocare le riserve perchè “l’obiettivo principale è la salvezza”. Allora, non dobbiamo stupirci se a fare strada sono squadre come il Metalist Kharkiv, o se il Dnipro Dnipropetrovsk batte squadroni come Napoli e PSV Eindhoven. Lungi da noi giudicare le strategie di una società:
Ognuno ha le sue priorità. Casomai, sarebbe forse l’ora di prendere in mano la formula delle competizioni europee e rivedere qualcosa: l’appeal non può derivare dall’inserimento di sempre più squadre, anzi così si arriva alla soluzione contraria, ovvero quella di far perdere interesse nei primi turni perchè nella migliore delle ipotesi le partite interessanti sono cinque in tre mesi. Lo stesso succede in Champions League, attenzione: con l’apertura alle piazzate nei campionati nazionali, spesso e volentieri nel girone eliminatorio arrivano formazioni che possono ritenersi fortunate se strappano un pareggio in due anni (la Dinamo Zagabria). Personalmente, ritengo che prima o poi si arriverà alla rivisitazione sportiva del mito di Atlantide: la grande civiltà con un possesso di tecnologie e conoscenze che oggi ci sogniamo, che crolla su se stessa e fa tornare alle origini, qui intese come una Coppa dei Campioni scarna ma dalla competitività massima, con turni a eliminazione diretta tra le vincitrici dei campionati europei, o al massimo le prime due (come è stato per qualche anno). E’ l’unico sistema per rinverdire la tradizione di una coppa, UEFA o Europa League che dir si voglia, che oggi come oggi è considerata come una coppa in tono minore. E pazienza se nelle ultime cinque edizioni della Supercoppa Europea la vincitrice della Champions League è uscita con le ossa rotte: molto meglio alzare la coppa dalle grandi orecchie e prendersi un 4-0 a Montecarlo.
(Claudio Franceschini)