Ieri sera, durante un allenamento per la Coppa America di vela, l’America’s Cup, il catamarano di 75 piedi (circa 22 metri) del team svedese Artemis ha avuto un incidente con conseguenze fatali per lo stratega Andrew “Bart” Simpson, velista di fama mondiale, vincitore di un oro e un argento olimpici nella classe Star, la classe regina della vela, nonché già in Coppa America con l’imbarcazione italiana “+39”.
In Inghilterra, come molti velisti, era famosissimo: ai Giochi Olimpici aveva vinto le medaglie con lo skipper Ian Percy, ora sailing team director di Artemis. L’imbarcazione svedese conta come tattico e CEO il “mitico” Paul Cayard, già timoniere del Moro di Raul Gardini, di Stars and Stripes e di America One. mentre Non sono ancora del tutto chiare la cause dell’incidente.
Nelle prime ore era circolata la notizia riguardante un rovesciamento del catamarano, dovuta all’immersione delle prue.
Dopo altri accertamenti sembra però che la causa è da ricercarsi in una rottura strutturale di una traversa. Ricordiamo che in questa edizione della Coppa America si regaterà con dei catamarani ultratecnologici, di 75 ft (22 metri) di lunghezza e 46 ft (14 metri) di larghezza, completamente in carbonio, con un peso totale di 7 tonnellate, spinti da una vela rigida di 300mq.
Grazie all’enorme potenza generata dall’ala, hanno la possibilità di “decollare” come un aliscafo, mantenendo immersi solo parte delle derive e i timoni, raggiungendo velocità di 40-50 nodi, circa 80 km/h.
Questo fatto provoca molti problemi di stabilità e strutturali, soprattutto con onda formata, condizione meteo che sarà prevalente nella baia di in S. Francisco, sede appunto della Coppa America. Bisogna poi pensare che questo mostro è stato studiato per anni per essere il più leggero possibile, con margini di sicurezza ridotti al minimo.
Le dimensioni e le velocità elevate rendono però complicati e non completamente affidabili i test in laboratorio e i modelli matematici ad essi collegati, spesso eseguiti su modelli di parti di scafo ben distinte e non sullo scafo nel suo insieme. Il direttore dell’Insean-Cnr, centro di ricerca italiano utilizzato per gli studi del catamarano di Luna Rossa, in una recente conferenza, ha mostrato le complessità e le difficoltà poste da questo tipo di progetti.
È ancora molto difficile avere dei dati affidabili sull’insorgere della cavitazione sulle derive, fenomeno che causa una veloce diminuzione di portanza e quindi un repentino e violento “ammaraggio” del catamarano, con carichi inerziali molto elevati sulle strutture e un’eventuale rottura o ribaltamento dell’imbarcazione.
Tutto questo è molto interessante e stimolante per me, studente di ingegneria navale. Ogni progresso costa molto in termini di fatica e di meri soldi, ma, oltre alla soddisfazione personale, permetterà, una volta applicate alle navi o imbarcazioni da diporto di avere strutture più leggere, velocità maggiori, maggiore sicurezza e minori costi.
La morte di una persona, però, ha la facoltà di fermare tutto il mondo e far emergere gravi interrogativi sulla direzione che ha preso la società.
Cosa siamo disposti a perdere per il progresso tecnologico?
Quanto il corpo umano può sopportare?
L’uomo per cosa è stato creato?
Siamo in grado di gestire le nostre creazioni?
Potranno le nostre creazioni aiutarci ad utilizzare le nostre creazioni?
Ha senso tutto ciò?
Già in questa edizione della Coppa America sono comparse mute, caschetti, protezioni varie e, davvero sorprendente, bombole d’ossigeno, che ogni velista, compreso Andrew, ha in dotazione per poter sopravvivere sott’acqua il tempo sufficiente (stimato in circa 20 minuti) per i soccorsi. Purtroppo, dopo 10 minuti di permanenza sott’acqua, Andrew non ce l’ha fatta.
Non si sa se fosse cosciente, se avesse avuto la possibilità di attivare la bombola, se la bombola non si è attivata. Purtroppo la tecnologia della sicurezza è sempre un passo indietro agli oggetti che creano queste situazioni pericolose.
Si spera di inventare soluzioni che possano permettere all’uomo di resistere in condizioni ambientali sempre più proibitive, ricordando però, che l’errore, l’imprevisto, il caso, è sempre in agguato e purtroppo, ci vede benissimo. Sperando che, alla fine, ci sia un motivo per cui facciamo tutto ciò e non, come dice Charlie Holloway alla sua creature David, in Prometeus, che creiamo soltanto perché ne siamo capaci.
(Carlo Augusto Pasquinucci)