A Barcellona si è aperta una nuova era. Il Camp Nou ha salutato e festeggiato il grande ritorno di Luis Enrique, ottavo ex capitano blaugrana a diventare allenatore. L’ultimo era stato Pep Guardiola: sappiamo com’è andata. “Lucho”, come lo chiamano da queste parti, ha giocato in un Barcellona capace di mettere le mani su due campionati consecutivi, su due Coppe del Re, una Supercoppa. Pochi trionfi europei in quegli anni: la Coppa delle Coppe e la Supercoppa Europea, perchè era una squadra che stava rifondando dopo lo smantellamento del Dream Team. Poco importa adesso: Luis Enrique è tornato al Camp Nou dopo tre anni in cui è stato lontano: ha allenato la Roma, si è preso una stagione sabbatica, ha guidato il Celta Vigo alle soglie dell’Europa. Prima era stato il tecnico della formazione B: prima di lui era stato promosso, anche qui, Pep Guardiola. Insomma: i blaugrana ci hanno pensato su, e hanno deciso che dopo l’interregno di Gerardo Martino avessero bisogno di un uomo del club. Lo avevano scelto, ma hanno dovuto aspettare il momento giusto, perchè Lucho non voleva prendere in mano la squadra appena dopo l’anno di riposo. E’ tornato, e ha detto subito cose importanti: ha stilato una lista di intoccabili (non c’è Xavi, ma ci sta vista l’età) e nelle sue prime parole in conferenza stampa ha parlato in termini generali di una squadra che attaccherà e giocherà un calcio “efficace e attrattivo”. Ha aperto ai cambiamenti, che ci saranno: domani firmerà il portiere Marc-André ter Stegen, si aspetta Alen Halilovic, soprattutto sembra vicino il ritorno di Yaya Touré. L’ivoriano nel 2010 non si era lasciato benissimo con il Barcellona: ci era rimasto male per non essere stato confermato, nonostante tre stagioni ad altissimo livello. Tuttavia non ha mai nascosto di avere il blaugrana nel cuore e di voler tornare a calcare il prato del Camp Nou. Potrebbe farlo: si mormora che abbia intenzione di lasciare il Manchester City, che in particolare non abbia gradito come il club abbia dimenticato di fargli gli auguri di compleanno e che sia disposto a ridursi l’ingaggio faraonico (12 milioni di euro) pur di rivestire la maglia dei catalani. E mentre Gerard Piqué ha rinnovato fino al 2019, l’idea che prende corpo nella mente di Luis Enrique è quella di riproporre il che si è visto anche al Celta Vigo. Prendendo spunto da quello che era il sistema del Brasile Mondiale del 1970: cinque giocatori offensivi che si scambiano la posizione, si muovono senza dare punti di riferimento e sono protetti, almeno sulla carta, da un unico frangiflutti davanti alla difesa (che sarà Sergio Busquets). Naturalmente si rischia dietro, ma la linea difensiva sarebbe più bloccata; anche per questo Dani Alves, di fatto un’ala, sarebbe al passo d’addio. Per questo Lucho vuole un numero 9 vero ma anche in grado di aprire spazi:
Mario Mandzukic il nome perfetto, perchè segna – tanto – e si sposta in continuazione permettendo ai centrocampisti e agli esterni di tagliare continuamente in area. Perchè Luis Enrique ha visto le partite contro l’Atletico Madrid, e ha capito che il 4-3-3 se non ha velocità e circolazione veloce si infrange contro un muro ben organizzato. E dunque, sarà ancora tiki taka ma con qualche variazione, per esempio esterni che partono qualche passo indietro e spazzolano davvero la linea laterale, come faceva Jairzinho (che in realtà era un numero 10) agli ordini di Mario Zagallo. Sugli uomini che riempiranno le caselle del modulo si vedrà, ma potremmo vedere Leo Messi (anche lui fresco di rinnovo) sulla linea della trequarti in modo che possa ricevere fronte alla porta e sfruttare i “blocchi” del centravanti, con Yaya Toure al suo fianco, e le fasce occupate da Neymar (uno degli intoccabili) e Iniesta allargato per la bisogna, ma si parla anche del ritorno di Gerard Deulofeu, e in caso di mancato arrivo di un centravanti la Pulce potrebbe essere il singolo offensivo dello schema. Le soluzioni sono varie e il calciomercato non è ancora aperto; ma Luis Enrique vuole divertire e divertirsi. Ci aveva provato a Roma e non era andata bene; commise l’errore di giocare un calcio che non era quello italiano e con uomini poco adatti. Qui è nel suo elemento: potrebbe davvero funzionare.
(Claudio Franceschini)