In pochi giorni il gesto antirazzista di mangiare banane ha fatto il giro del mondo, insieme all’hastag #somotodosmacacos. A tutti, la risposta all’offensivo lancio del giallo frutto esotico da parte del calciatore Dani Alves, era parso uno splendido gesto di superiorità, in grado di seppellire nel ridicolo gli animatori del razzismo negli stadi. Nulla di più contagioso e indovinato, che ha trovato subito imitatori sia tra la gente comune che tra rappresentanti delle istituzioni e addirittura tra uomini di Stato. Ma ben presto, anzi prestissimo, si è capito che non si è trattato di un gesto spontaneo, quando si è diffusa la notizia, nel pomeriggio successivo alla partita Villarreal-Barcellona, che il marchio di abbigliamento di Luciano Huck (star della tv in Brasile e grande amico di Neymar) aveva già pronte per la vendita le magliette con la banana e l’hashtag #somostodosmacacos, lanciato poche prima dallo stesso Neymar su twitter. Prezzo di vendita: 25 euro. Non è dato sapere il ricavato è destinato a iniziative sociali o meno. Ma molti si stanno scandalizzando scoprendo che era tutto preparato, con l’intervento addirittura dell’agenzia pubblicitaria Loducca, del gruppo ABC. Eppure il gesto in sé ha avuto il suo valore nel diffondere meglio di qualsiasi altra forma di pubblicità sociale un giusto sentimento antirazzista. Se una campagna come questa non ha alcun fine di lucro, siamo in presenza di una campagna sociale. Se lo ha, siamo in presenza di quella che viene definita un’attività di Responsabilità Sociale dell’Impresa, vale a dire di una campagna che, pur essendo organizzata da una impresa che ha fini di lucro, intende promuovere dei valori sociali. In questo caso specifico, la ditta di abbigliamento di Luciano Huck intende evidentemente accrescere la propria reputazione e la propria fama per il fatto di contribuire a veicolare una campagna contro il razzismo. Di campagne del genere promosse da aziende ce ne sono oramai molte, soprattutto sul tema della salvaguardia dell’ambiente. Ma finora si è sempre trattato di campagne pubblicitarie riconoscibili come tali fin da subito. Mentre quello che ha colpito nel caso della banana è stato un gesto che, apparso spontaneo, ha creato un immediato e immenso fenomeno di viralizzazione, che è uno dei sistemi odierni capace di diffondere un qualsiasi contenuto grazie alla nascita e allo sviluppo dei social media. L’avvento di internet e del suo nuovo ambiente hanno aperto nuove strade e nuove opportunità ai comunicatori, che non sono però prive di incognite. Uno spot lo si può programmare, essendo a pagamento, e decidere esattamente dove e quando posizionarlo. Un contenuto virale ha l’enorme vantaggio di non avere costi per lo spazio (sono gli stessi utenti e/o consumatori a condividerlo e a “postarlo” su Facebook, Twitter, Youtube, eccetera), ma è noto che per sua natura un virus si espande in maniera incontrollabile e incontrollata. Nel caso specifico stiamo a vedere cosa succede:…
…potrebbe avvenire che molti, scoprendo di essere stati “ingannati” smettano di divulgare la campagna e anzi si dichiarino contrari al metodo impiegato. Ma se si scoprisse, ad esempio, che il ricavato delle magliette è destinato ad una Onlus che si incarica di aiutare immigrati poveri? In questo caso la campagna potrebbe riprendere ulteriore vena, portando a Neymar e al suo amico Huck ulteriori tonnellate di buona reputazione, con anche ottime conseguenze commerciali. Nel nuovo ambiente di comunicazione in cui siamo immersi è sempre più difficile orientarsi: chiunque può diffondere una notizia senza essere giornalista seminando potenzialmente panico o errati modi di pensare. Un’abile campagna virale che parte “dal basso”, abilmente studiata come quella della banana, potrebbe portarci a pensare e fare cose da fantascienza, se promossa da gente senza scrupoli. Fortunatamente, come in natura, anche il virus “comunicativo” ha una durata relativa, e gli anticorpi o nascono spontaneamente o prima o poi si trovano. In ultima analisi, poi, azioni di questo tipo devono passare al vaglio delle coscienze in grado di domandarsi sempre cui prodest? l’azione che vediamo dispiegarsi nella società. Ecco perché occorre impegnarsi per diffondere – in primis tra i piccoli – il virus del senso critico: è l’unico, che una volta sviluppato, non morirà mai.