Dopo il Mondiale, l’Europeo è il torneo più atteso per quello che mette in palio, ovvero il predominio calcistico su scala continentale di una nazione su tutte le altre. Quest’anno è la volta di Euro 2016, manifestazione che si terrà in Francia da oggi 10 giugno al 10 luglio, in cui 24 nazionali si daranno battaglia per strappare alla Spagna il titolo di campione d’Europa. La è entusiasta perché come al solito, in questo lasso di tempo, moltissimi appassionati seguiranno dall’inizio alla fine le gesta dei propri beniamini. Insomma, il nuovo format promette spettacolo: le partecipanti sono aumentate così come gli incassi degli sponsor, mentre gli stadi in cui si giocheranno le partite offrono un’atmosfera unica soltanto a guardarli. Dulcis in fundo scenderanno in campo alcuni dei giocatori più talentuosi del pianeta. Ma è davvero tutto oro quel che luccica? A dire il vero no, perché scavando in profondità si nota un “errore di sistema” che potrebbe compromettere la natura del concetto di Europeo (o di Mondiale, ma nel seguente articolo ci limitiamo soltanto al primo).
L’importanza di un torneo di tali dimensioni deriva dallo scontro sportivo di scuole calcistiche differenti, ognuna delle quali ha plasmato nel corso dei decenni l’identità di ciascuna nazionale. La stessa identità si ritrova in stereotipi diffusi tutt’oggi: il gioco difensivo dell’Italia, il 4-4-2 inglese, la grande disciplina tedesca, la classe brasiliana, la garra sudamericana, la resistenza asiatica, la fisicità africana e via dicendo. Ovviamente ciò che delinea lo stile di un paese è dato dalle caratteristiche dei rispettivi atleti: ad esempio il Brasile, noto per l’abilità di giocatori brevilinei, difficilmente punterà tutto su intensità e corsa, caratteristiche che si addicono invece a calciatori della Corea del Sud. Il problema si pone quando un mescolamento selvaggio di atleti confonde e snatura le varie identità calcistiche nazionali. Tale fenomeno si è diffuso a macchia d’olio negli ultimi anni, sia per motivazioni socio-politiche che per mera convenienza.
Nel primo caso rientrano tutti quei giocatori che, lasciando il proprio paese d’origine, crescono e si formano in un altro stato o sono figli di migranti. I flussi migratori provenienti da Africa e Medio Oriente stanno recentemente portando in Europa (e hanno già portato) decine di migliaia di persone che nei prossimi anni, oltre alla società, modificheranno radicalmente il mondo dello sport. Senza affrontare in questa sede temi politici, e limitandoci solo ed esclusivamente a trattare l’ambito sportivo, non si può chiudere gli occhi di fronte ad un cambiamento epocale che sta creando da una parte nazionali più forti, multietniche ma prive di identità, dall’altra nazionali defraudate dei propri talenti. Prendiamo il caso della Turchia di Ozil e Khedira i quali, nati in Germania da genitori stranieri, hanno scelto la nazionale tedesca piuttosto che quella turca; o ancora il Mali di Dembélé, Kanté e Sissoko, tre giocatori nati rispettivamente a Wilrijk, Le Blanc-Mesnil e Parigi da maliani, e arruolati da Belgio e Francia. Pensiamo a come sarebbero potute diventare le nazionali di Turchia e Mali se avessero potuto contare sul contributo dei nomi che abbiamo citato: forse avrebbero potuto competere con le nazionali di prima fascia? Può darsi. Certo, nessuno dubita che Sissoko e Kantè si sentano francesi e siano perfettamente integrati in Francia, ma calcisticamente parlando i loro paesi d’origine hanno perso due talenti non rilevanti.
Arriviamo ora al secondo caso. Se troviamo tanti calciatori costretti per necessità a scegliere nazionali diverse da quelle che senza migrazioni si troverebbero a rappresentare, sono presenti altrettanti “furbetti” che, avendo due-tre possibilità, prediligeranno la federazione che offrirà loro migliori garanzie sul piano sportivo. Per esempio un senegalese in condizione di scegliere tra Francia e Senegal, molto probabilmente opterà per la prima nazionale visto il blasone dei Bleus; e tanti saluti al Senegal che dovrà fare a meno di un potenziale campione che avrebbe tutto il diritto di giocare con i Leoni d’Africa. Poi ci sono quelli che aspettano fino all’ultimo la chiamata di una grande nazionale ma che, ignorati dai c.t, ripiegano in un secondo momento su federazioni minori. Tanto basta giocare titolari: dove non ha importanza.
Il pericolo serio è che le nazionali rischiano di trasformarsi in club e di seguire logiche meramente materiali più che valoriali. Le convocazioni stanno sempre più assumendo le sembianze del calciomercato. La nazionale più forte attira i migliori giocatori e li “ruba” (in modo del tutto legale, sia chiaro) alle federazioni più deboli; esattamente come i presidenti dei club più ricchi strappano alla concorrenza i migliori talenti in circolazione concedendo loro le luci della ribalta che in provincia difficilmente avranno. Per un Belgio o una Svizzera multietnici, e ricchi di talenti provenienti da mezza Europa, troviamo interi stati le cui federazioni calcistiche sono azzoppate e penalizzate dalla scelta legittima di alcuni dei suoi potenziali calciatori. E che molto probabilmente, avendo perso tutti i giocatori migliori, non potranno più lottare ad armi pari con le concorrenti per Europei e Mondiali.
Oltre a danneggiare le identità calcistiche dei singoli paesi, si incentiva un profondo disequilibrio tra rappresentative di Serie A e di serie B, che quasi sempre combaciano rispettivamente con gli stati più ricchi e più poveri del pianeta. Di questo passo assisteremo ad Europei e Mondiali sempre più cannibalizzati dalle solite (multi)nazionali. E non avrà più senso far confrontare culture calcistiche differenti, dato che si sta creando un’unica e globale scuola calcistica. Europei e Mondiali come semplice prosecuzione di campionati nazionali? La strada è quella, e la FIFA, finché è in tempo, dovrebbe in qualche modo tamponare questo pericoloso “errore di sistema”.
(Giuliani Federico – Twitter: @Fede0fede)