Niccolò Campriani sarà uno degli atleti di punta dell’Italia alle Olimpiadi di Londra 2012, che inizieranno ormai tra meno di due mesi. Nato a Firenze nel 2007, Campriani si è laureato campione europeo nella specialità della carabina da 10 metri nel 2009 e campione del Mondo nel 2010. Insomma, un campione di livello assoluto, in una specialità che – come l’affine tiro a volo – da sempre è una miniera di medaglie per l’Italia ai Giochi Olimpici. Ma la storia di Campriani è davvero interessante anche per un altro aspetto: infatti ha saputo coniugare l’attività sportiva ad alto livello con lo studio. E’ andato a studiare in America, e oltre Oceano si è pure laureato. Eccolo in questa intervista esclusiva per IlSussidiario.net.
Niccolò, per prima cosa cosa significano le Olimpiadi per te?
Queste per me saranno le seconde Olimpiadi, quindi magari ci sarà un po’ meno “magia” rispetto a Pechino. Naturalmente restano un appuntamento importantissimo, per cui la preparazione è più lunga rispetto ad esempio alla Coppa del Mondo, ed è bellissimo esserci, ma senza estremizzare. Non è il giorno della mia vita, comunque vada è una gara e come tale va presa. E poi io punto ad esserci anche nel 2016…
Di Pechino che ricordi hai?
Ricordi molto intensi, fin dalla cerimonia inaugurale che è stata un’emozione unica. Mi ricordo bene anche la gara, sia negli aspetti positivi sia in quelli negativi: è stata la gara che più mi ha fatto crescere in assoluto. Il risultato non arrivò perchè fui decimo a pari merito, però è stata sicuramente utilissima per questo quadriennio: un’esperienza necessaria anche negli aspetti sportivamente “tragici”, visto che restai nei primi tre per i primi 59 colpi prima di sbagliare proprio all’ultimo e scivolare decimo. Da quell’errore ho saputo imparare molto, per cui ben vengano certi errori.
Anche perchè dopo sono arrivati 4 anni importanti…
Sì, dal titolo europeo al titolo mondiale e vari altri successi ma non solo. Sono maturato molto grazie a molte persone che ho incontrato: a detta di chi mi conosce sono cambiato parecchio.
La tua esperienza certo non è stata tra le più normali per uno sportivo: università in America, la laurea. Questi anni quindi ti hanno fatto crescere molto anche come uomo?
Sì, ed è poi questo che conta più delle medaglie, che si dimenticano. Invece l’esperienza di vita è stata importantissima: ho studiato e mi sono laureato in ingegneria negli Stati Uniti, il lavoro con uno psicologo americano, le persone che ho incontrato… Però devo dire che senza il tiro non avrei potuto fare tutto questo: i costi sono proibitivi anche per un solo semestre, la borsa di studio è stata fondamentale. Quindi ringrazio lo sport per aver potuto cogliere questa opportunità ancor più che per i risultati agonistici in sé.
Dunque com’è la tua giornata-tipo?
Mi sono laureato a dicembre, quindi da allora è cambiata abbastanza. Prima avevo lezione al mattino, allenamenti al pomeriggio e poi palestra, infine compiti e studio dopo cena: una vita monastica. Da gennaio invece mi sto concentrando più sul tiro, nel centro olimpico degli americani a Colorado Springs: da gennaio ad aprile ho puntato sulla quantità, con 5 o 6 ore al giorno al poligono più la palestra. Ora invece, dopo le gare di Coppa del Mondo, si tratta di rallentare un po’ e di recuperare energie che serviranno a Londra per evitare le distrazioni e le pressioni di chi ti chiede la medaglia, dai giornalisti fino agli amici più stretti.
Qual è il modo migliore dunque per prepararsi a questa gara?
Non pensare al risultato, ma concentrarsi solo su come eseguire il gesto tecnico. Le sensazioni di tiro, il gesto in sé e per sé, senza pensare a secondi fini come l’oro.
Una questione di concentrazione?
Sì, d’altronde nel nostro sport è davvero fondamentale, un po’ come nel golf.
(Mauro Mantegazza)