E fanno sei. Da tre anni a questa parte Novak Djokovic si è abituato bene: aprire l’anno vincendo a Melbourne è diventata una piacevole consuetudine per lui. Il serbo ha battuto Andy Murray in quattro set (6-7, 7-6, 6-3, 6-2), sostanzialmente chiudendo la pratica con una certa facilità: confermati i pronostici della vigilia, che volevano il numero uno al mondo (ça va san dire: primato consolidato) favorito nel torneo. Rispetto al 2012 sembra che non sia passato nemmeno un minuto, e che anzi stiamo vivendo il giorno della marmotta con la sola differenza che si va indietro di un anno: Novak Djokovic campione nel singolare maschile, Victoria Azarenka nel femminile. Sulla vittoria della bielorussa si allungano ombre e discussioni che probabilmente perdureranno nel tempo: dal timeout utilizzato quando la Stephens le stava portando via il secondo set in semifinale (e Vika era vicinissima a una seria crisi di nervi) alla doppia caduta di Na Li che, prima ritrovandosi la caviglia malconcia e poi picchiando anche la testa, di fatto le ha agevolato il compito all’ultimo atto, la numero uno al mondo ha passato un paio di giorni difficili, tanto da scoppiare in un pianto liberatorio al termine della partita, nel quale ha dato sfogo a tutto il nervosismo e la tensione che aveva accumulato. Facciamo nostre le parole di Serena Williams che, bloccata dalla schiena e costretta alla sconfitta contro la teenager Stephens (della quale sentiremo parlare a lungo perchè a dispetto della giovane età gioca con una sfrontatezza consentita a poche), ha candidamente ammesso che l’avversaria ha meritato il passaggio del turno, perchè le partite si devono sempre vincere. Con la Azarenka è lo stesso: una rivale in difficoltà dall’altra parte della rete può essere un brutto affare perchè non sai mai come comportarti e rischi di sbagliare per non voler infierire. Brava Vika dunque, ma la parentesi serve a dire che la vittoria di Djokovic è invece netta e senza fronzoli, e stabilisce un record: mai nessuno nell’era Open era riuscito a vincere per tre volte consecutive lo Slam di apertura della stagione. Solo Jack Crawford e Roy Emerson possono dire di averlo fatto, ma stiamo parlando di anni Trenta e Sessanta, per l’appunto un ‘altra epoca. Nell’albo d’oro degli Australian Open Nole (che ha vinto anche nel 2008) raggiunge Federer e Agassi a quota 4 successi. Per lui il difficile arriva adesso:
Presa la rivincita su Murray che lo aveva schienato nella finale degli US Open dello scorso settembre, Djokovic deve continuare la stagione confermandosi su questi livelli. Ha già dimostrato di valere la vetta del ranking ATP e di essere uno dei tennisti più forti di ogni epoca; ma intanto deve ancora centrare il Grande Slam (avrà un’occasione d’oro quest’anno, perchè Nadal si presenterà al Roland Garros in condizioni ovviamente non ottimali) e poi, in un periodo storico nel quale Federer si avvia al declino e lo stesso Rafa è fuori dai giochi, dovrà dire al mondo che il più forte è lui. Per farlo se la giocherà con Andy Murray, oggi battuto piuttosto nettamente ma in realtà consapevole che oggi arrivare in finale e provare a vincere non è più impossibile (per lui si è trattato della terza finale consecutiva in un Major). Djokovic e Murray sono separati da una sola settimana a livello anagrafico: entrambi del maggio 1987, sembrano destinati anche per storia e destino a dominare la prossima epoca del tennis maschile. Nadal permettendo, ovviamente.
(Claudio Franceschini)