Dopo venti giornate di campionato la Roma di Zdenek Zeman versione 2.0 è sesta in classifica con 32 punti, 8 in meno rispetto all’obiettivo prefissato in estate, il piazzamento Champions League. Un intero girone e una partita sono un timer sufficiente per l’ebollizione delle prime impressioni concrete nel pentolone dei giudizi. La partita di Catania si pone come sintesi quasi perfetta della situazione. La Roma ha un potenziale tecnico notevole, di prima fascia (apparentemente inferiore solo alla Juventus), ma riesce ad esprimerlo senza continuità. Perché? Si rischia di riscaldare discorsi ritriti sull’allenatore. Zeman è sicuramente un figura positiva e interessante del mondo del calcio. Il suo modo di intendere questo sport si può definire un pensiero stupendo, perché basato sulla ricerca quasi ossessiva del gol, che è l’essenza, la cosa più bella del calcio. Si può essere d’accordo nel definire Zeman un maestro del gioco, perché interprete di una filosofia ben precisa e “positiva”, in grado di divertire interpreti e fruitori. Ma ancora una volta, la differenza tra “educatore” calcistico e tecnico vincente scopre i limiti del sistema. Si è detto più volte, ma soprattutto lo dice la storia, lo dicono i fatti: Zeman può sorprendere (Foggia, Lazio, Lecce) ma non ha vinto quando chiamato a farlo (Roma ’97-’99, Fenerbahçe, Napoli, Stella Rossa). Perché? Stiamo sul pezzo, prendiamo la Roma. Al Massimino ha offerto un primo tempo quasi perfetto ma al contempo inutile, perché asciutto di gol. I singoli hanno le loro colpe, l’allenatore non può buttarla dentro al posto loro. Ma la ripresa ha messo in luce un altro problema: nemmeno un’armata verde (solo quattro titolari su unidici sopra i venticinque anni) sembra in grado di reggere i ritmi del boemo per novanta minuti. Nel secondo tempo la Roma è apparsa più molle, volenterosa ma incapace di far male, e il Catania, che tanto aveva sofferto nel primo, ne ha approfittato guadagnando campo e segnando il gol decisivo. Al di là delle singole scelte di formazione, c’è un postulato nel teorema di Zeman che continua a non convincere: l’alta velocità lasciamola ai treni, i calciatori sono uomini, per quanto giovani non possono correre allo stesso ritmo per un’ora e mezza -salvo eccezioni. Ieri l’assenza di Totti non ha aiutato e ha avuto il suo peso, ma la falla nel piano resta, se è vero che più d’una volta…
…la Roma è stata rimontata (Bologna, Udinese, Lazio) e segna meno nella mezz’ora centrale delle partite (prima e dopo l’intervallo, per capirci). Naturalmente dipende anche da quello che si vuole: la Roma non ha il blasone di Juventus, Inter e Milan, ma l’importanza data dall’ambiente e anche da una storia tutto sommato illustre, che l’ha vista retrocedere una sola volta e mantenersi costantemente ad alti livelli. Quella stessa storia che ha attirato gli americani e che impone alla squadra di porsi come frontiera minima la Champions League, ovvero l’elite del calcio europeo. In questo senso, il calcio di Zeman potrebbe non essere adatto. Forse il boemo deve rivedere qualcosa nella sua filosofia, facendola più “furba”: non significa cambiare modalità di gioco, anzi, ma gestire meglio le energie dei giocatori, che più volte arrivano spompi a fine gara e fanno più fatica a mantenere i risultati. L’Inter di Mourinho, che ha vinto tutto, faceva dei minuti finali la sua arma segreta, e più volte l’ha spuntata al fotofinish. Il boemo ci pensi: potrebbe essere il passo decisivo per diventare un vincente, oltre che un maestro. Non dispiacerebbe a nessuno: a Zeman non serve vincere per essere antipatico.
(Carlo Necchi)