Da una parte tutto secondo previsioni; dall’altra, visto come si erano messe le cose, forse è la serie meno scontata. Sono iniziate nella notte le Finali di Conference della NBA 2012: chi esce vincitore dalle due sfide (come al solito al meglio delle 7 partite) si scontrerà nelle Finali. Est contro Ovest. Andiamo con ordine.
A Ovest, la serie più annunciata: San Antonio Spurs e Oklahoma City Thunder hanno dominato la stagione regolare, prendendosi i due migliori record di Conference. Sono arrivate fino a qui con un percorso quasi netto: gli Spurs hanno “sweepato” (il termine viene dal verbo to sweep, spazzare via con una scopa, sostanzialmente) gli Utah Jazz e i Los Angeles Clippers. Qualcuno dirà che non si trattava di avversari propriamente irresistibili; ma quando vinci otto partite su otto con uno scarto medio superiore ai 13 punti beh, qualche merito ce l’avrai anche. I Thunder il loro 4-0 l’hanno inflitto al primo turno ai Dallas Mavericks, campioni uscenti sazi dall’abbuffata (insperata) dell’anno precedente e indeboliti oltre misura dalle cessioni di J.J. Barea e Tyson Chandler. Poi, il virtuale passaggio di consegne con i Los Angeles Lakers, fatti fuori 4-1: Bryant e soci gialloviola sono forse al passo d’addio di una dinastia che in 13 stagioni ha fruttato 5 titoli e altre due finali, ora partirà la rifondazione. Comunque. Serie, quella tra San Antonio e Oklahoma City, con tante chiavi tattiche: intanto è il vecchio contro il nuovo, perchè i neroargento li hanno dati per morti almeno cinque anni fa (dopo l’ultimo titolo, il quarto della storia) e invece sono ancora qui, più arzilli che mai, a giocare la miglior pallacanestro della Lega, con Tim Duncan ancora dominante, con un supporting cast che incide eccome sulle partite. I Thunder sono il nuovo che avanza: Durant e Westbrook (più James Harden, sesto uomo dell’anno), un roster costruito quasi alla perfezione). La prima gara, nella notte, l’hanno vinta gli Spurs, rimontando dallo svantaggio nel terzo quarto con un Ginobili monumentale: 11 punti (sui 26 totali) nell’ultimo periodo, e 1-0 che va in Texas. Ma sarà una serie lunga: c’è equilibrio, i Thunder sono capaci di grandi fiammate e alla Chesapeake Energy Arena sarà una bolgia blu. A Est, potremmo dire la stessa cosa: i Miami Heat sono i prescelti, i predestinati, la squadra dei tre fenomeni che nell’estate del 2010 si sono messi insieme per vincere. Il primo tentativo è fallito miseramente: Chris Bosh è uscito in lacrime da gara-6 contro Dallas, Wade e James no, ma con qualche parolina non detta tra di loro. Ci riprovano quest’anno, avendo tutta l’America (salvo South Beach) che tifa contro di loro. Strada spianata dall’infortunio di Derrick Rose (al quale si è aggiunto quello di Noah) che ha fatto fuori i Chicago Bulls, veri favoriti per le Finali; nonostante questo, contro Indiana i Tres Amigos hanno visto le streghe, poi Dwyane e Lebron si sono messi a giocare e hanno ribaltato. Ma ora se la vedono contro i Boston Celtics:
Loro, a differenza degli Heat, hanno vinto al primo tentativo di un progetto triennale, poi non hanno raccolto quanto potuto a causa di infortuni vari. Dopo quattro anni dal titolo, i Big Three (quelli veri) sono ancora qui: hanno sofferto ma vinto contro i sorprendenti Sixers, e lanciano la sfida a Miami. L’anno scorso fu 4-1 Heat, ma l’anno scorso Garnett non era questo Garnett e Rondo, forse, non era così dominante. La serie si gioca su equilibri sottili: Miami non ha ancora recuperato Bosh, e potrebbe fare tutta la differenza del mondo; ma il suo punto debole, il reparto lunghi, non dovrebbe andare troppo sotto, visto che Boston non ha le armi giuste sotto canestro. C’è chi dice che i verdi saranno spazzati via, ma attenzione all’orgoglio Celtics: Paul Pierce quando vede Lebron James dall’altra parte trova energie insperate, e anche Ray Allen, che ha una caviglia in disordine, potrebbe non sentire il dolore per sette partite. Boston però non avrà Avery Bradley, che non sarà un fenomeno ma è l’unico a poter dare il cambio a He Got Game nella marcatura di Wade, che così rischia di dominare la serie (ci sarebbe Pietrus, che però dovrà già alternarsi con Pierce per limitare James). Le panchine sono decisamente poca cosa, ma l’asticella pende verso Miami. Stanotte gara-1, ma non fatevi ingannare dal risultato che ne verrà fuori: Questa è la NBA: everybody makes a run, e lo si è visto anche stanotte. In una serie al meglio delle 7, poi, anche un minimo dettaglio può spostare tutta l’inerzia. Come andrà a finire non si sa: le certezze sono poche. Forse, a ben guardare, solo una: val bene la pena dare un occhio a quanto accade.
(Claudio Franceschini)