A Ovest abbiamo già iniziato; a Est no, solo perchè la serie tra New York Knicks e Indiana Pacers si è prolungata fino a gara-6 e allora si partirà domani notte. Quando ci sarà anche gara-2 tra i San Antonio Spurs e i Memphis Grizzlies: siamo alle finali di Conference dei playoff di basket . In pratica, le semifinali: le due vincenti si affronteranno nell’ultimo atto, con serie sempre al meglio delle 7 partite. Nella Western Conference la sfida è di quelle da leccarsi i baffi: Memphis rappresenta il nuovo che avanza, una squadra costruita con oculatezza dal general manager Chris Wallace, che a febbraio ha dato la svolta decisiva. Poteva sembrare una pazzia, e invece la trade che ha portato Rudy Gay a Toronto in uno scambio a tre che ha definito l’arrivo di Tayshaun Prince da Detroit (l’ultimo di quel quintetto che vinse il titolo nel 2004 e si ripresentò in finale due stagioni più tardi, giocando peraltro sei finali di Conference consecutive) è stata la mossa che ha permesso ai Grizzlies di esplodere. Il ruolo di due lunghi dalla tecnica sopraffina come Zach Randolph e Marc Gasol diventato centrale, la palla più a lungo nelle mani di un playmaker sempre sottovalutato come Mike Conley, la difesa sugli esterni portata dal suddetto Prince, da Tony Allen (già decisivo nel titolo dei Boston Celtics del 2008), da Pondexter; il segreto per portare le avversarie a muovere la palla sotto canestro, dove a volte tirare diventa impossibile. Sono qui con i merito i ragazzi del Tennessee, anche se hanno approfittato di una Oklahoma City priva di Russell Westbrook, particolare che ha portato Kevin Durant a giocare sostanzialmente da solo per l’assenza di un piano B (e qui si sono visti anche i limiti di Scott Brooks in panchina). Dall’altra parte però c’è un sistema, quello del generale Popovich e di R.C. Buford, che in 13 anni ha giocato 4 finali e non ha mai giocato una regular season al di sotto delle aspettative; un sistema nel quale i giocatori cambiano (da Avery Johnson a Tony Parker, da David Robinson a Thiago Splitter e via discorrendo) ma i risultati restano. Non solo i Big Three, dai quali passano naturalmente i destini della stagione: anche una serie di “comprimari” che fanno il loro dovere e non hanno paura delle responsabilità, pur non essendo stelle annunciate (gli stessi Parker e Ginobili sono stati chiamati alla numero 28 e 57 del draft NBA). Kawhi Leonard (scelto alla 15 dagli Indiana Pacers e ceduto subito), Danny Green (scelto alla 46 da Cleveland), Gary Neal (mai selezionato al draft), persino Cory Joseph che ha minuti importanti; in più, un allenatore che non esita a far sedere Tim Duncan in una gara-6 punto a punto perchè non soddisfatto del rendimento della sua stella. In gara-1 gli Spurs hanno dominato, vincendo di 22 punti; ma si ricordano ancora che due anni i Grizzlies li eliminarono al primo turno, e sanno bene che la serie rischia di essere molto lunga. Dall’altra parte, a Est, attenzione: segnalata l’ennesima uscita anticipata dei New York Knicks e un’imminente estate bollente dalle parti del Madison Square Garden, i campioni in carica dei Miami Heat si preparano ad affrontare gli Indiana Pacers. Che in stagione sono in vantaggio 2-1 negli scontri diretti di regular season, confermando di avere le armi per far soffrire una squadra destinata a detta di tutti a prendersi un altro titolo senza troppo faticare. Finora gli Heat hanno perso
… una sola partita nei playoff (gara-1 in casa contro i Chicago Bulls) e hanno dovuto giocare due serie non troppo complicate (quella contro i Tori lo sarebbe stata, se i ragazzi di Thibodeau non fossero stati decimati dagli infortuni); si sono riposati per un totale di due settimane abbondanti, ma sanno bene che con Indiana sarà dura. Perchè è una squadra che ama giocare usando il fisico, sfrutta i centimetri di Roy Hibbert dentro l’area e la tecnica di David West, ma ha anche una batteria di esterni che può punire il fatto che molto probabilmente LeBron James sarà dislocato sulle tracce dello stesso West. George Hill è un signore che arriva proprio dagli Spurs (ceduto nell’affare Leonard, San Antonio tecnicamente controllerebbe anche i diritti su Erazem Lorbek e il lettone Davis Bertans) e che quando è in campo dà un vantaggio alla sua squadra di 60 e più punti, mentre quando è seduto i suoi vanno sotto di una trentina (il cosiddetto plus/minus). Poi Paul George, che ha preso il posto di Danny Granger (già, ci sarebbe anche lui ma è fuori da tutta la stagione) come prima opzione offensiva del team. Gli Heat restano superiori anche per un sistema difensivo che può imbrigliare chiunque, ma attenzione alle sorprese, perchè la rivincita di LeBron agli Spurs (perse 4-0 quando giocava per Cleveland nell’ormai lontano 2007) fa sicuramente gola ma ancora di là da venire. La chiave per Indiana sarà dare la palla dentro a Hibbert per sfruttare fisico e centimetri, sfruttando il potenziale mismatch contro Chris Bosh e tentando così di alleggerire la pressione sugli esterni; Miami gli manderà contro anche Chris Andersen nei minuti in cui il Birdman sarà in campo. Gli Heat hanno LeBron James, che quest’anno ha vinto il suo quarto titolo di MVP; tanto basta, ma la presenza di un centro atipico come Chris Bosh permette di portare Hibbert in zone a lui meno congeniali, e Dwyane Wade se in serata è difficilmente arginabile, come la mano di Ray Allen. Ci sarà da divertirsi: lo scorso anno i Pacers erano 2-1 con il blitz esterno, prima di sprecare una grossa occasione. Sarà una serie molto fisica e nervosa: si vedrà.
(Claudio Franceschini)