Come da tradizione annuale, intorno a fine maggio si svolge la cosiddetta “Lotteria del Draft”, cioè quel particolare sorteggio che definisce l’ordine con cui le peggiori squadre della stagione acquistano il diritto di scegliere i giocatori dichiarati “eleggibili” (cioè “prendibili”): si tratta in gran parte dei migliori prodotti delle università americane, ma come noto negli ultimi anni si sono imposti giocatori provenienti anche da altri contesti cestistici, esaltando quella vocazione internazionale che fa davvero della NBA la Lega del Mondo. Qualche giorno fa la sorte, sotto forma di palline, ha premiato i Cleveland Cavaliers, lasciando solo la chiamata n.2 agli Orlando Magic, la squadra col peggior record della stagione (e quindi con le maggiori possibilità di aggiudicarsi la prima scelta assoluta); a seguire sceglieranno Washington, Charlotte, Phoenix, New Orleans, Sacramento, Detroit, Minnesota e Portland. Come si muoveranno le squadre? E chi saranno le prime scelte (forse future superstar) della Lega? Le previsioni e i pronostici sono già cominciati da mesi (il cosiddetto Mock Draft), individuando in modo più o meno unanime i 5/6 giocatori che probabilmente saranno chiamati nelle posizioni più alte: Ben McLemore, Nerlens Noel, Otto Porter, Victor Oladipo, Cody Zeller, Trey Burke sono certamente i nomi più gettonati (oggi per lo più poco noti al grande pubblico, ma in queste settimane impareremo a conoscerli perché saranno oggetto di una forte esposizione mediatica). Lasciando ad un eventuale altro approfondimento l’analisi su questi giocatori e sulle logiche che potrebbero guidare le scelte delle singole squadre, proviamo a buttar lì qualche suggestione per entrare un po’ di più nella magia, nel fascino, nel divertimento, nel mistero del Draft NBA.
“With the first pick, in the 2013 NBA Draft, the Cleveland Cavaliers select…”
Per l’ultima volta, nella notte del 27 giugno al Barclays Center di Brooklyn, sentiremo la voce del Commissioner David Stern, padre-padrone della NBA negli ultimi trent’anni, annunciare uno dopo l’altro i nomi delle prime scelte: si tratta di una cantilena che assomiglia vagamente ad una litania, ad un rito arcaico, che ben si addice a quello che in fondo il Draft NBA realmente è. Nonostante infatti una preparazione quasi maniacale (decine di scout ci lavorano per mesi) ed uno studio analitico dei giocatori che sfiora livelli di dettaglio degni di una missione spaziale, il Draft NBA è tutto fuorché una scienza esatta e spesso risulta difficile da leggere e comprendere secondo le più elementari categorie della logica umanaQualcuno potrà ritenere queste parole un po’ esagerate (e naturalmente in parte lo sono), ma sono davvero tanti gli esempi che dimostrano questa tesi (e che hanno inciso profondamente sulla Lega negli ultimi trent’anni). Ovviamente rileggere la storia ex post (e riscritta nell’ottica dei vincitori) è sempre molto, troppo facile; così come non bisogna mai dimenticare che ogni singola scelta o decisione del passato deve essere letta dentro il preciso contesto storico nel quale è stata presa, valutando attentamente tutte le motivazioni e i fattori che l’hanno determinata. Ma anche con queste doverose cautele, proviamo a farci qualche domanda, a partire da quella forse più eclatante: come sarebbe stata la storia della NBA se i Portland Trail Blazers nel 1984 avessero scelto con la chiamata n.2, al posto di Sam Bowie, un tale di nome Micheal Jeffrey Jordan? Perché nel 1995 Joe Smith è stato scelto al n.1 prima di Rasheed Wallace (n.4) o Kevin Garnett (n.5)? Cosa passò nella mente dei Clippers nel 1998 quando scelsero Michael Olowokandi come prima scelta invece di Dirk Novitki (n.9) o Paul Pierce (n.10)? Perché Washington (su indicazione del citato MJ) spese nel 2001 la prima chiamata per Kwame Brown (forse, insieme al già ricordato Kandy Man visto anche a Bologna, la peggior prima scelta di tutti i tempi) quando erano disponibili Pau Gasol (n.3), Zach Randolph (n.19) o Tony Parker (n.21)? Per quali occulte ragioni…
… Detroit nel 2003 scelse alla n.2 Darko Milicic invece di Carmelo Anthony (n.3) e Dwayne Wade (n.5)? Perché nel 2005 Andrew Bogut (n.1) e Marvin Williams (n.2) vennero chiamati prima di Cris Paul (n.4)? E infine (per non tirare in lungo il cahiers de doleance) perché Portland nel 2007 chiamò al n.1 Greg Oden al posto di Kevin Durant (n.2)? Naturalmente queste considerazioni hanno il senso ed il valore di una chiacchiera da bar (o di una barber shop conversations, come dicono dall’altra parte dell’oceano), perché poi a riequilibrare la bilancia ci sono stati i vari Magic Johnson (1979), Shaquille O’Neal (1992), Allen Iverson (1996), Tim Duncan (1997), Lebron James (2003), Derrick Rose (2008), tutti giustamente e indubitabilmente scelti con la prima chiamata assoluta. Così come la NBA è piena dei c.d. “steal of the draft”, cioè quei giocatori scelti (in modo lungimirante, o talvolta fortunoso) molto in basso e che invece si sono poi rivelati delle superstar come Steve Nash (n.15 nel 1996), Manu Ginobili (n.57 nel 1999), Tony Parker (n.21 nel 2003), Rajon Rondo (n. 21 nel 2006) o MarcGasol (n.48 nel 2007), solo per citare alcuni degli esempi più famosi e conosciuti. Questi ultimi esempi ci rivelano molto bene come i veri protagonisti della magica nottata del Draft siano i General Manager delle squadre che, dopo settimane di complesse analisi e valutazioni, si trovano poi nelle loro sitting room a dover prendere le loro decisioni negli ultimi 5 minuti prima della comunicazione ufficiale! Il destino professionale di molti addetti ai lavori si è giocato proprio sulla freddezza nel saper gestire al meglio in queste situazioni di emergenza, ma anche e soprattutto sulla capacità di pianificare, fino all’ultimo secondo, trattative e scambi connessi alle scelte; solo per citare uno dei mille esempi: nel 1996 i Los Angeles Lakers diedero Vlade Divac agli Charlotte Hornets in cambio della loro scelta n.13, che i Calabroni avevano speso per un diciottenne di Philadelphiache ha il nome di una bistecca giapponese… Sicuramente già oggi molti GM stanno ragionando e pianificando trattative, che porteranno prima del 27 giugno a formalizzare alcune decisioni (tipico è il caso di scambio tra un giocatore e una scelta); e altrettanto sicuramente in questo istante i loro collaboratori dello staff tecnico stanno visionando per la centesima volta i filmati relativi alle potenziali lottery pick, in attesa di poterli vedere di persona nell’ambito dei camp espressamente organizzati per visionarli più da vicino. Nei prossimi giorni le quotazioni dei giocatori saliranno o scenderanno con la stessa velocità del Nasdaq, i GM saranno quotidianamente rosolati sulla graticola dai media, le voci e le notizie saranno annunciate e smentite in continuazione: questo, e molto altro ancora, è il bello del Draft NBA e se, come ogni anno, gli dei del basket si interesseranno della vicenda con la loro capricciosa e irrazionale fantasia, ci sarà certamente da divertirsi!
(Paolo Cottini)