Fernando Llorente è stato una delle maggiori sorprese della scorsa stagione, facendo ricredere a suon di gol la nutrita frangia di scettici e dubbiosi tra cui anche chi scrive, che era prontissimo ad etichettarlo come il bidone d’oro 2014. Gli argomenti non mancavano: veniva da un anno di semi-inattività, non emana quella cattiveria agonistica tipica dei conquistadores del calcio moderno, pareva il classico attaccante buono solo in casa sua (l’Athletic Bilbao). Oltretutto la recente tradizione spagnola in Serie A, da Josè Mari a Javi Moreno passando per De La Pena, Farinos e Mendieta, offriva argomentazioni sufficienti per la confutazione senza appello. Ma questo è un discorso che non vale più: 18 gol dopo chi scrive ha già speso più di un mea culpa verso il Re Leone navarro, ed oggi ne segue con interesse le vicende nel nuovo contesto juventino. Nello scorso campionato Llorente è stato l’attaccante d’area che la squadra aveva perso dopo il primo Matri, oltre che il perfetto partner per le incursioni di Carlos Tevez. Quest’anno, nel passaggio da Antonio Conte a Massimiliano Allegri, la Juventus ha mantenuto lo stesso modulo ma si è spostato il suo baricentro tecnico, un pò per caso con l’infortunio del fulcro Pirlo e un pò per desiderio, quello di esaltare la verve e le qualità realizzative dell’Apache. Cosa buona e giusta anche perché l’argentino sta rispondendo nel migliore dei modi e soprattutto la Juventus continua a vincere. Tutto questo rischia però di penalizzare Llorente, che nella prima fetta di stagione sta venendo meno al suo ruolo di attaccante, per ordini di scuderia ma anche per una predisposizione al sacrificio che può ritorcerglisi contro se distesa col matterello. Il fatto che non abbia ancora segnato è forse il meno preoccupante, anche perché in certa misura ricalca l’andamento dell’anno scorso in cui lo spagnolo impiegò il suo tempo a sbloccarsi e a carburare; ciò che appare evidente è un principio di metamorfosi tecnico-tattica del giocatore: da finalizzatore puro l’ultimo Llorente assomiglia sempre più ad un pivot passatore alla Vlade Divac, una boa utile alla manovra che però sta abbassando la propria produzione offensiva in maniera evidente. L’anno scorso aspettava i cross dalle fasce, ora gioca spesso spalle alla porta e i numeri ne risentono: nelle 6 apparizioni di campionato (sempre presente e questo ne denota l’importanza) ha una media di 2 tiri a partita, non pochi (gli stessi di Icardi ad esempio) ma si può fare di più, specie giocando nella Juventus che lavora tanti palloni ghiotti negli ultimi metri. Il buon Giovinco, che pure ha…
…giocato una sola volta e contro il Cesena, ha tirato 11 volte per non parlare di Tevez che effettua il doppio delle conclusioni rispetto al compagno di scorribande (4.5). Dati assolutamente parziali e che non costituiscono ancora una prova, gli indizi sono però sufficienti per suggerire a Llorente di dedicarsi di più al proprio score, cosa che in fondo rientra nelle sue mansioni di base. Quando il navarro dichiara di pensare più al successo della squadra c’è da credergli, negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscere gli sportivi spagnoli per sapere che raramente si celano dietro frasi fatte; però è stato lo stesso Llorente a dimostrarci che si può essere “cattivi” anche con la faccia da buono o senza tatuaggi, e rapidi in area pur con un fisico da cestista. Questo non deve dimenticarselo nessuno, in primis Allegri anche perché il Tevez-centrismo alla lunga può diventare un’arma prevedibile e quindi più facilmente arginabile. D’altra parte siamo solo ad ottobre e queste considerazioni hanno inevitabilmente un che di prematuro; non è però un allarme quanto piuttosto una speranza: che il campionato non perda il suo killer gentile.
(Carlo Necchi)