Li chiamano economisti. Ma se non avessero i titoli, verrebbe il dubbio che siano ciarlatani. In questi giorni i commenti sulla “follia di Trump” o sulla “ignoranza di Trump” si sprecano da parte di quei personaggi che non riescono a immaginare un mondo con regole diverse da quelle che finora hanno prodotto poca crescita e debiti sempre più alti, sempre a discapito delle classi più disagiate mentre i ricchi stabiliscono nuovi record di ricchezza posseduta.
Qualche esempio? Sul Corriere della Sera si trovano titoli di articoli tipo “Perché le Barbie costeranno di più ed è colpa di Trump”. Capito il problema che assilla le notti insonni di tanti operai che faticano ad arrivare a fine mese?
Oppure commenti del tipo: “Il passo indietro sugli smartphone, con il ritiro dei dazi annunciato nel fine settimana da Trump, è il primo esempio concreto di una dinamica opposta a quella auspicata dal Presidente: più della metà degli smartphone venduti in America sono iPhone, e 4 iPhone su 10 sono fatti in Cina: vedersi raddoppiare i prezzi di un prodotto così popolare non avrebbe reso gli americani più allegri”. Nessuno ha avvisato questi bravi economisti che vi sono altre marche di cellulari?
Più della metà degli smartphone venduti in America sono iPhone, quindi l’altra metà che non ha il popolare cellulare ne ha uno che costa meno e probabilmente (suppongo io) non ci pensa agli iPhone e ha votato Trump.
Oppure: “La Casa Bianca vorrà sicuramente che la guerra commerciale finisca entro Natale, perché anche il 75% delle bambole e delle biciclette che gli Stati Uniti importano sono prodotte in Cina”. Eh sì, davvero un problema produrre bambole e biciclette, chissà se gli americani hanno più la tecnologia per farle.
Ma noi non dobbiamo preoccuparci dei dazi, noi abbiamo la nostra amata presidente del Consiglio, quella tanto osannata dai media e tanto rispettata in Europa, e pure amica di Trump. Proprio lei è andata negli Usa per incontrarlo e discutere della materia ed è tornata di nuovo osannata per il successo dell’incontro.
Cos’ha ottenuto? Un probabile annullamento delle sanzioni. Ma in cambio di cosa? Una dozzina di miliardi da spendere per la difesa per arrivare al fatidico 2% del Pil, come richiesto da tempo dagli Usa; ovviamente si tratta di una dozzina di miliardi da spendere presso fornitori Usa.
E poi la promessa di acquistare gas americano (che arriva via nave, quindi a prezzi molto più alti rispetto a quello russo o algerino via condotte) per svariati altri miliardi. Insomma, rispetto alle note richiesta americane, la Meloni ha fatto da scendiletto, da soldatino che è andato di persona a prendere istruzioni.
Nello scorso articolo ho scritto una cosa banale: i dazi non li ha inventati Trump; lui li ha promessi in campagna elettorale, ha vinto le elezioni e quindi ora sta mantenendo quelle promesse. Trump è stato votato dagli americani e ovviamente difende i loro interessi. Ora pure per noi ci vorrebbe qualcuno che difende i nostri interessi.
Ho scritto anche che i dazi spingeranno le imprese che importano ad aprire linee di produzione negli Usa così non avranno dazi da pagare. Certamente non è una decisione da poco, ma è precisamente quanto sta facendo il colosso automobilistico cinese Byd, che ha in costruzione due impianti in Turchia e Ungheria e sta pianificando la costruzione di un terzo, in risposta ai dazi imposti dall’Ue per le auto cinesi.
Certamente vi sono prodotti che non possono essere elaborati negli Usa, come la grandissima parte dei prodotti alimentari tipici legati a un territorio.
Ma proprio perché possono solo essere esportati, l’applicazione dei dazi su tali prodotti è una mossa stupida, perché non essendoci l’alternativa di costruire, per esempio, una “fabbrica di prosecco” negli Usa, questo non porterebbe ad alcun posto di lavoro in più negli Usa, ma solo a un aumento dei prezzi che ricadrà sul consumatore americano, che non potrà far altro che lamentarsi col proprio Governo.
Come questo piccolo esempio mostra, i dazi non sono una ricetta miracolosa, anche perché di ricette miracolose in economia non ve ne sono. I dazi di Trump, però, sono il segnale evidente che un mondo, il mondo del liberismo sfrenato e senza regole, è ormai tramontato e l’azione politica torna a fare il suo ruolo. Il vero problema è che in Europa, e pure in Italia, non sembrano averlo ancora capito.
Nel frattempo la Bce prosegue col previsto taglio dei tassi, un modesto 0,25% e sempre in ritardo rispetto alla Fed.
Non sapendo cosa fare nel mutato scenario economico e finanziario mondiale, segue l’andazzo generale, in un contesto economico nel quale l’economia tedesca continua a soffrire e quella italiana registra il calo della produzione industriale, confermando il trend negativo persistente ormai dall’ottobre 2023 (tranne qualche raro mese poco sopra lo zero). Quindici mesi di calo della produzione industriale e nessuno dice niente.
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