Dopo più di tre settimane dall’annuncio dei primi dazi fermarsi agli annunci e alla volatilità delle borse rischia di generare un grande equivoco. In attesa delle trattative la realtà si sta muovendo con effetti che prescindono dall’esito delle discussioni tra Cina e Stati Uniti.
Secondo il Financial Times, Apple starebbe valutando di spostare tutte le linee di assemblaggio che oggi ha in Cina in India. La decisione farebbe emergere una realtà di imprese che con il passare del tempo decidono di spostare la propria produzione dalla Cina verso Paesi a basso costo o verso gli Stati Uniti. Alcune delle decisioni che vengono prese in questi giorni e settimane hanno conseguenze di lungo periodo perché si possono vendere e comprare azioni nello spazio di qualche secondo, mentre per chiudere e per aprire fabbriche servono mesi o anni ma poi non si torna indietro.
Un secondo livello riguarda i settori che oggi vengono colpiti dall’embargo che gli Stati Uniti hanno di fatto imposto sulle importazioni cinesi. Tutto il settore americano della logistica è già in sofferenza perché il crollo delle importazioni implica minore necessità di spostare container, riempire magazzini o trasportare merci in un Paese che, da costa a costa, ha quattro fusi orari. Il danno prodotto è duraturo perché le ore di lavoro perse non possono essere recuperate da giornate di 25 ore. A catena il fermo della logistica si propaga ai settori ancillari.
Dal primo annuncio dei dazi sono passate tre settimane; in questi giorni le merci che arrivavano dalla Cina e che riempiono buona parte degli scaffali dei supermercati americani hanno smesso di arrivare. Le grandi catene di distribuzione probabilmente si chiedono se sia meglio aspettare in attesa di un accordo con la Cina oppure provare a diversificare le forniture sostituendo, dove possibile, i prodotti cinesi; in questo secondo caso sarebbe molto difficile evitare rincari dei prezzi.
Il sistema ha un livello fisiologico di scorte che è stato alzato in previsione dei dazi. La data del primo annuncio, il “liberation day” del 2 aprile, è stata poi preceduta da settimane di dichiarazioni e quindi c’è stato tempo per i preparativi. È difficile stimare quante settimane possano essere coperte dalle scorte e ancora di più fare una valutazione puntuale per singolo settore.
Secondo le stime più pessimistiche, nelle prime settimane di maggio sulla costa ovest, più vicina alla Cina, si potrebbero vedere le prime conseguenze; altre stime spostano più in là nel tempo, all’inizio dell’estate, i primi impatti visibili sugli scaffali. Le merci cinesi vengono sottoposte ai dazi solo quando escono dai magazzini e questo complica ulteriormente i conti.
Ci sono sicuramente merci stoccate pronte per uscire dai depositi nel caso in cui dazi venissero cancellati o abbassati a livelli assorbibili dalla grande distribuzione e dai produttori cinesi. Ovviamente più passa il tempo più diventa complicato recuperare il fermo di queste settimane e più si ampliano gli effetti sulla logistica e sull’economia, sul “Pil”, che si manifestano a prescindere dalla conclusione delle trattative.
Il passare dei giorni scava conseguenze sull’economia reale, mette pressione sia sugli Stati Uniti che sulla Cina e testa la soglia di sopportazione dei due contendenti. L’impatto economico è potenzialmente traumatico e questo potrebbe portare a qualche forma di compromesso che renda il processo di disaccoppiamento più tollerabile.
È una speranza che per ora sembra condivisa dagli investitori, per convinzione o per convenienza, ma su cui non ci sono certezze.
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