Netanyahu elogia il piano di Trump, ma in realtà non è quello che voleva da lui. Israele vorrebbe continuare la guerra e finire il lavoro di distruzione di Gaza e di Hamas. L’idea del presidente americano di occupare la Striscia e di farne la “Riviera del Medio Oriente”, spiega da Gerusalemme Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, in realtà servirebbe solo a prendere tempo, perché non sa indicare una soluzione praticabile per la questione palestinese. Lo dimostrerebbero anche i suoi tentativi di aggiustare in corso d’opera il piano, parlando di allontanamento temporaneo dei palestinesi e negando che verranno impiegati soldati USA.
Anche l’annessione della Cisgiordania potrebbe non avere la benedizione di Trump: se non si prende in considerazione la possibilità che la Palestina diventi uno Stato, l’Arabia Saudita non potrebbe normalizzare i rapporti con Israele, mandando in fumo gli affari previsti dal tycoon.
Come hanno reagito gli israeliani alla proposta di Trump di trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”?
Hanno reagito come tutti quelli che si fermano un attimo a ragionare dopo aver ascoltato le follie dell’altra notte di Trump. Sanno che va preso sul serio, perché è il nuovo presidente degli Stati Uniti, però non va preso alla lettera, nel senso che va analizzato. In campagna elettorale aveva promesso di portare l’America fuori dal Medio Oriente, regione dei conflitti senza fine, ma per realizzare il piano che ha annunciato durante l’incontro con Netanyahu a Washington avrebbe bisogno di centinaia di migliaia di uomini a Gaza, calati nel conflitto più irrisolvibile dell’area.
Quello che propone Trump è ciò che si aspettavano gli israeliani?
Il presidente americano non ha detto a Netanyahu le cose che il premier israeliano si aspettava o sognava di sentirsi dire, cioè di continuare la guerra senza restrizioni e di annettere la Cisgiordania. Il linguaggio del corpo di Netanyahu durante la conferenza stampa era molto chiaro: era sorpreso e un po’ deluso, perché la grande questione era quanto dovesse durare la tregua e cosa dovesse accadere dopo.
Da Trump voleva il via libera alla sua agenda di governo di estrema destra nazionale e religiosa; invece, probabilmente, gli ha chiesto di liberare gli ostaggi, di trovare una soluzione politica.
È di questa che il presidente USA ha bisogno per realizzare i suoi affari?
Trump è l’immobiliarista che, quando ha messo gli occhi su una proprietà perché deve costruirci sopra, dice che fa schifo per spuntare un prezzo migliore. Ecco, noi dobbiamo abituarci per i prossimi quattro anni a una politica estera americana fatta così, più da businessman che da diplomatico: sarà tutta una transazione, come con il Canada e con il Messico.
Secondo Times of Israel, il piano di Gaza Riviera del Medio Oriente non sarebbe stato comunicato neanche ai suoi funzionari. Può essere?
È una cosa nata in mattinata. Di fronte alle sue sparate, tuttavia, non abbiamo ascoltato il resto delle dichiarazioni. Netanyahu ha detto che Israele non vuole compromessi ma vincere la guerra, mentre Trump, quando gli è stato chiesto se è favorevole all’annessione della West Bank, ha risposto che è una buona idea, ma deve pensarci e si pronuncerà fra quattro settimane.
È probabile che allora dirà di no. Leggendo i giornali israeliani prima del vertice di Washington, il tema era come raggiungere un compromesso politico per fermare la guerra, perché i sauditi hanno già fatto sapere che non vedono l’ora di fare affari con Tel Aviv, ma hanno bisogno che si apra una prospettiva diplomatica che conduca verso la creazione di uno Stato palestinese. Invece Trump ha catalizzato l’attenzione sulla sua proposta.
A Ben Gvir e Smotrich, però, l’idea di Trump sembra piacere. Sono d’accordo?
Ai nazionalisti religiosi, in sostanza i coloni, in realtà non va bene che qualcun altro occupi Gaza: la vogliono occupare loro, secondo il ragionamento messianico per cui “Dio ci ha dato questa terra: è nostra”. Per un verso, d’altra parte, neanche questi sono i veri piani di Trump.
In che senso?
Trump sa benissimo cosa potrebbe costare in termini di consenso popolare. Un conto è guadagnare nell’interscambio commerciale con il Canada e con il Messico o con l’Europa, altra cosa è mandare 100 o 200mila soldati a presidiare la Striscia.
Quanto costerà solo svuotare Gaza delle tonnellate di macerie sotto cui è sommersa? O sminare l’area e poi ricostruire? Secondo il più autorevole progetto di ricostruzione di Gaza, occorrono 300 miliardi di dollari per riedificare solo le case, escludendo le infrastrutture, delle prime quattro città più importanti della zona. E chi ha questi soldi? Gli USA dovrebbero sborsarli proprio ora che Elon Musk sta tagliando la burocrazia e le spese, togliendo gli aiuti economici anche ai poveri americani?
Non arriverebbero neanche i soldi del Golfo?
I sauditi e gli Emirati Arabi Uniti possono contribuire in maniera importante, ma non lo faranno mai se Gaza non resta in mano ai palestinesi, fino a che non si apre una trattativa sul futuro della Palestina.
Haaretz riporta un sondaggio secondo il quale Bennet avrebbe sorpassato Netanyahu nel gradimento dell’opinione pubblica. Un segnale importante? O Netanyahu è risorto talmente tante volte che non dobbiamo darlo per vinto?
Non hanno scelto Gantz o Lapid, ma un altro colono. Quindi, in realtà, non cambierebbe molto. Sarebbe come per i nostri elettori di centrodestra passare da Berlusconi alla Meloni. Anche Bennet vuole annettere la West Bank e Gaza. Netanyahu, comunque, è un animale politico: sotto le elezioni si scatena, non per niente governa da più tempo di Ben Gurion.
I media israeliani parlano anche di un nuovo progetto residenziale a Gerusalemme, a scapito dei palestinesi, e di una sentenza dell’Alta Corte di giustizia secondo la quale i palestinesi cacciati dai coloni devono tornare al loro posto. Al di là della Riviera di Gaza, il tema vero resta quello della Cisgiordania?
Il nazionalismo religioso nasce sulle montagne, in Cisgiordania. Il sionismo non può rinunciare a quell’area, piena di luoghi santi dell’ebraismo. Quindi sì, sicuramente il grande obiettivo è la West Bank. Rimane, comunque, anche un’opinione pubblica israeliana più umana, che ha capito che l’unica vera soluzione del conflitto è una soluzione politica e civile, senza cacciare i palestinesi.
Dopo il 7 Ottobre e 15 mesi di guerra è ovvio che tra i due popoli prevalga l’odio, ma se si creasse una maggioranza politica diversa in Israele e una nuova leadership palestinese, come sarebbe se la Palestina fosse guidata da Marwan Barghouti, aumenterebbe il numero di persone disposte alla pace.
Alla fine, però, Trump dirà no all’annessione della Cisgiordania oppure asseconderà l’idea?
Farà il gradasso per cercare di non prendere posizione. Ha nominato come ambasciatore in Israele Mike Huckabee, ex governatore dell’Arkansas, secondo il quale non ci sono territori occupati, ma ci sono Giudea e Samaria. Ma anche questo è fumo negli occhi. In realtà, a Washington vogliono solo guadagnare tempo, per mettere da parte una transazione molto complicata. Trump sa che non può dire: “Arriviamo noi e conquistiamo Gaza”. Perderebbe il mondo arabo. Consentire a Israele di annettere la Cisgiordania significherebbe per il presidente USA perdere la possibilità di fare affari con i sauditi.
(Paolo Rossetti)
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