Dbeibah è debole, Haftar è il referente dei russi, e forse candidato a riunificare la Libia. Lo deciderà Trump. Italia in ansia per il dossier migratorio
Khalifa Haftar prigioniero delle sue stesse alleanze. In particolare di quella con i russi. Il leader della Cirenaica, in realtà, anche in virtù della sua cittadinanza americana, aspirerebbe a tenere buoni rapporti con tutti in Libia, ma il legame che si è creato con Mosca, da cui dipende per molti aspetti, lo spinge a essere sempre più coinvolto nei piani di Putin in Africa.
Per questo avrebbe dato appoggio logistico alle RSF, che in Sudan stanno combattendo contro l’esercito regolare. Senza disdegnare, tuttavia, spiega Mauro Indelicato, giornalista di Inside Over e Affari Italiani, l’ambizione di unificare nella sua persona tutta la Libia. Dbeibah, infatti, è sempre più debole e molte milizie della zona di Tripoli vorrebbero scalzarlo. Se il suo posto potrà essere preso da Haftar, che invece controlla la Cirenaica, lo deciderà Trump: gli americani, che hanno riallacciato i rapporti con i russi, potrebbero garantirgli il potere in cambio di concessioni del Cremlino per l’Ucraina. Forse anche per questo l’inviato di Trump Massad Boulos (come riferisce il sito Middle East Eye) visiterà la Libia.
Anche l’Italia, che proprio oggi ha messo sul tavolo UE il dossier Libia per parlare di migranti, potrebbe contribuire a risolvere la crisi libica. Ha gli interessi e gli agganci giusti per dire la sua.
Haftar avrebbe messo il naso anche nella guerra in Sudan: non punta più solo alla Libia, ma vuole giocare un ruolo anche nel resto dell’Africa?
Ad Haftar l’ambizione non è mai mancata. Grazie al suo esercito, il Libyan National Army, potrebbe fare da collante con le RSF sudanesi del generale Dagalo, i paramilitari che combattono contro le forze regolari sudanesi. Entrambe le milizie, infatti (Haftar e Dagalo), sono giudicate vicine a Mosca.
Qual è l’obiettivo?
Si tratta evidentemente della possibilità di creare un’area di influenza dove la Russia può dislocare le sue basi, una regione che vada oltre il sud e l’est della Libia e abbracci quei territori sudanesi che in questo momento sono sotto il controllo delle Forze di supporto rapido. L’esercito regolare di Al Burhan sta avanzando in Sudan, ma c’è ancora una parte consistente del territorio che è in mano alle RSF.
La presenza dei russi in Africa sta diventando sempre più consistente e Haftar è sempre più il referente di Putin?
Haftar è sempre più legato ai russi, anche suo malgrado: sa benissimo che in Libia, a livello politico, non si sopravvive con un solo partner. Ha vissuto per trent’anni negli Stati Uniti e ha tanti collegamenti con gli americani. Anzi, gli sarebbe piaciuto fare da collante con tutte le forze in campo a livello internazionale: d’altra parte vanta rapporti anche con la Turchia, che riconosce l’altro governo libico, quello di Tripoli. Però il denaro che circola nell’est della Libia, dove Haftar esercita il suo controllo, viene stampato in Russia e molte delle sue armi sono di provenienza russa. Per questo, quando Mosca ha perso le basi in Siria, caduto Assad, Putin ha ordinato ad Haftar di ergersi a suo referente nel Mediterraneo, perché aveva bisogno di nuovi punti di riferimento per controllare Sahel e Africa subsahariana, in cui la presenza russa è sempre più forte. Haftar, in questa ottica, dovrebbe essere il nuovo Assad.
La situazione in Libia, in generale, com’è? Dbeibah è sempre più debole, turchi e russi, principali sostenitori dei due governi attivi – quello della Tripolitania e quello della Cirenaica – potrebbero trovare un accordo per riunificare il Paese. Alla fine potrebbe succedere nel nome di Haftar?
La situazione in Libia è molto critica. A Tripoli è in atto una guerra non dichiarata, ma reale, tra le forze del premier Dbeibah, che sono in ritirata, e milizie come quella della Rada. Un contesto precario che riguarda la capitale, ma che, gioco forza, si riflette su tutto il Paese. Haftar potrebbe sfruttare questo momento, anche perché ha ancora molte tribù a lui fedeli nell’ovest della Libia, in particolare milizie che controllano località a ovest di Tripoli. Ma ci sono due incognite.
Quali?
La prima è l’incognita americana. Molto dipenderà da ciò che deciderà la Casa Bianca. Turchia e Russia non si guardano così in cagnesco: potrebbero pure mettersi d’accordo su una persona che riunifichi il Paese. Sappiamo anche che Trump ha una linea diversa rispetto a Biden, in rapporto alla Russia, con la quale cerca di dialogare in funzione, per esempio, di una futura tregua in Ucraina. Trump può decidere di smantellare le ambizioni russe in Libia opponendosi a un Haftar che estenda il suo potere a Tripoli, oppure di assecondare le ambizioni dell’attuale leader della Cirenaica in cambio di concessioni sull’Ucraina.
Cosa impedirebbe questa seconda soluzione?
Non tutte le milizie a Tripoli sono così concordi nell’accogliere eventualmente Haftar. Molte hanno combattuto contro di lui nel 2020. Il suo arrivo a Tripoli rischierebbe di creare ancora più confusione.
Dbeibah ha i giorni contati o ha ancora qualche possibilità? Potrebbe essere sostituito da qualcun altro mantenendo per il resto la situazione attuale?
Non è così facile trovare un sostituto di Dbeibah mantenendo lo status quo. In realtà, tutto verrà risolto a Tripoli manu militari: in questo momento non ci sono piani da parte delle Nazioni Unite o di altri attori internazionali volti a riprendere un percorso di pacificazione del Paese. Con questa premessa, è chiaro che tutto verrà risolto internamente, armi in mano. Bisognerà vedere quanto tempo resisterà Dbeibah: sempre più isolato, potrebbe trincerarsi nel suo bunker e rimanere lì finché le altre milizie non daranno la spallata finale. Un’opzione che gli garantirebbe qualche mese in più di sopravvivenza politica.
Chi potrebbe subentrare al suo posto?
Le alleanze in Libia sono molto variabili: alcune milizie potrebbero allearsi contro un nemico comune e, una volta raggiunto l’obiettivo di cacciarlo, scontrarsi perché in disaccordo su come spartirsi il potere.
Il figlio di Haftar, Saddam, ha incontrato Piantedosi a Roma e, su iniziativa dell’Italia, oggi i ministri UE potrebbero parlare anche di Libia. Il tema in entrambi i casi sono i migranti, ma il nostro Paese può giocare un ruolo più ampio e contribuire alla soluzione, per quanto possibile, della crisi libica?
Da un lato, l’Italia ha nel dossier migratorio la sua principale preoccupazione, perché la rotta libica è quella maggiormente usata dai trafficanti. Aspira ad affrontare questo problema alla vigilia dell’estate, per prevenire eventuali recrudescenze dei flussi. È altrettanto chiaro che, sfruttando il discorso dell’immigrazione, l’Italia aspira ad avere un ruolo politico importante in questa fase. Nessun attore internazionale, perlomeno a livello occidentale, ha in mano una soluzione: Roma potrebbe intavolare trattative per provare a sistemare la situazione, anche in virtù dei suoi interessi di natura energetica, economica, politica.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.