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Home » Esteri » CAOS LIBIA/ “Sono tornati gli Usa (contro Russia e Cina), svolta possibile anche per l’Italia”

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CAOS LIBIA/ “Sono tornati gli Usa (contro Russia e Cina), svolta possibile anche per l’Italia”

Int. Michela Mercuri
Pubblicato 14 Maggio 2025
Tripoli. I resti degli scontri tra milizie dopo l'attentato ad al Kikli (Ansa)

Tripoli. I resti degli scontri tra milizie dopo l'attentato ad al Kikli (Ansa)

Gli Usa hanno ripreso in mano il dossier Libia. L’eliminazione di al Kikli e della sua milizia ASS rientra in una strategia di ridefinizione dei poteri

I recenti disordini in Libia e l’imboscata nella quale è stato ucciso il potente capo-milizia al Kikli (“Gheniwa”) – noto per essere stato fotografato in un ospedale romano nello scorso febbraio – non è l’ennesimo episodio cruento di uno scontro tra milizie libiche. Va collocato in un quadro più ampio, spiega al Sussidiario Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’Università di Padova ed esperta della Libia. “La nuova amministrazione americana intende riprendere in mano il dossier libico” per contrastare Russia e Cina e si è innescato un processo di ridimensionamento del potere delle milizie.


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Per la Libia, e per l’Italia, potrebbe essere un punto di svolta. I fatti dei prossimi mesi probabilmente non saranno lineari, ci spiega Mercuri, ma l’accordo Italia-Turcia dell’aprile scorso dà uno sfondo più solido alla nostra interlocuzione con i poteri dell’ex Jamahiriyya, apparentemente nel guado di una transizione infinita.


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Siamo in presenza del solito regolamento di conti tra milizie?

Sì e no. La milizia di Kikli, Apparato di supporto e stabilizzazione (ASS), aveva guadagnato molto spazio. Non solo nella gestione dei centri per migranti, ma anche nel business immobiliare e delle telecomunicazioni. In questo ha pestato i piedi ad altre milizie e soprattutto al governo di Tripoli di Dbeibah.

Sappiamo che la 444esima Brigata, fedele al Governo di unità nazionale (GNU), ha eliminato al Kikli in una imboscata e smantellato l’ASS. Anche questo rientra nella dinamica propria delle milizie libiche?

Sì. È già successo quando una milizia si allarga troppo e invade gli affari di qualcun altro. E allora viene ridimensionata.


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Allora che cosa c’è di diverso?

Il 22 aprile la nave Usa Mount Whitney, che comanda la Sesta flotta americana, ha attraccato prima nel porto di Tripoli e poi in quello di Bengasi. Un fatto che è passato in sordina, ma che è importantissimo. Il vice ammiraglio Thomas Anderson e l’ambasciatore Richard Norland, inviato speciale Usa per la Libia, hanno incontrato i vertici dell’Ovest e dell’Est libico. È la dimostrazione del fatto che la nuova amministrazione americana intende riprendere in mano il dossier libico.

Dunque l’eliminazione di al-Kikli “Gheniwa” va inquadrata in questo contesto.

Potrebbe. La Libia è fondamentale per gli Usa, soprattutto perché nell’Est guadagnano spazio non solo i russi ma anche i cinesi. Dunque il tempo stringe. Ma c’è anche un altro problema. La presenza degli Stati Uniti in Africa si è indebolita dopo il golpe del 2023 in Niger, senza contare l’instabilità precedente che ha coinvolto Burkina Faso e Mali tra il 2021 e il 2022. La Libia ridiventa un “hub” importantissimo per ripristinare i rapporti con tutta l’Africa subsahariana.

Quindi?

Dagli incontri dei delegati americani con le leadership libiche è sicuramente emersa l’esigenza, soprattutto in Tripolitania, di ridimensionare il potere delle milizie per stabilizzare la situazione.

Come?

Riconducendola sotto un unico apparato governativo militare vicino al governo di Dbeibah.

Ma la 444esima Brigata, controllata da Hamza, è di Misurata.

Il governo di unità nazionale di Dbeibah sta cercando di ristabilire qualche forma di autorità statale, eliminando gli attori meno gestibili come al Kikli e ha sicuramente innescato una ricomposizione degli equilibri tra milizie. Nessuna milizia fa niente per niente.

E Dbeibah, che non è mai riuscito in questa operazione, stavolta potrebbe avere successo?

Potrebbe avere dietro il supporto, il via libera o una qualche garanzia da parte americana che prima non c’era, e che è maturata negli incontri citati. C’è un altro elemento significativo a favore della stabilizzazione.

Quale?

Lo scorso 30 aprile Saddam Haftar (figlio di Khalifa Haftar, leader della Cirenaica, nda) è volato negli USA ed è stato ricevuto al Dipartimento di Stato da una delegazione di funzionari americani, tra i quali lo stesso Norland. Questo ci autorizza a pensare che probabilmente anche Dbeibah si recherà presto negli Stati Uniti.

Tutto questo che cosa vuol dire per l’Italia?

L’Italia ha un interesse prioritario alla stabilità dell’Ovest, perché quando ci sono regolamenti di conti tra milizie, o una instabilità ancor più grande come è successo in occasione della guerra tra al Sarraj e Haftar nel 2019, il rischio che si interrompa la produzione petrolifera è molto alto. Sia perché le milizie prendono il controllo degli impianti, sia perché i disordini rallentano la produzione.

Ovviamente ci sono anche conseguenze sulle partenze.

Sì, perché dove le milizie controllano il territorio, possono aprire i rubinetti delle partenze per dimostrare il proprio potere e dettare condizioni.

Se questa è la situazione, che cosa dobbiamo aspettarci?

Sono due a mio avviso gli aspetti da considerare. Il primo: per l’Italia ci possono essere dei rischi, ma se gli Usa hanno ripreso in mano il dossier libico, ciò significa che una prossima, eventuale fase di instabilità, con le sue ripercussioni migratorie, potrebbe essere la conseguenza inevitabile di un processo di stabilizzazione crescente.

E il secondo?

Rispetto ad altri Paesi europei abbiamo una interlocuzione più diretta con gli Stati Uniti. Questo potrebbe tradursi in vantaggi per gli accordi che rientrano nel Piano Mattei e in un rafforzamento della nostra posizione in Europa, sul piano energetico e su quello degli accordi migratori.

Lei sta usando il condizionale, dunque sono scenari possibili, non certezze.

Quando si parla di Libia non ci sono mai certezze. Tuttavia, laddove dovesse realizzarsi questo scenario, il governo dovrebbe essere in grado di capitalizzare la nostra posizione di potenziale vantaggio, acquisito anche grazie al dialogo fin qui intavolato dal governo Meloni con i leader libici.

C’è un problema: la Turchia sarà d’accordo? 

Dialogare con la Turchia è inevitabile, perché è presente nell’Ovest libico e ha stretto accordi economici importanti con il governo di Dbeibah. Il vertice Italia-Turchia del 29 aprile scorso potrebbe essere un apripista anche in Libia. Detto in altri termini, la Turchia potrebbe risultare un competitor utile.

Crede che dovremmo rileggere tutta la vicenda Almasri alla luce del ritorno americano? Per non parlare della nota foto di al Kikli in un ospedale italiano, ma con il destino probabilmente già scritto.

Finché in Libia la gestione delle risorse rimarrà in mano ai capi-milizia, dobbiamo aspettarci che essi abbiano la possibilità di girare indisturbati per l’Europa. Non è un problema solo italiano. Per questo è fondamentale trovare in Libia un’interlocuzione istituzionale quanto più unitaria e rappresentativa possibile. Gli ultimi eventi potrebbero andare in questa direzione. Sia chiaro: con tutti i dubbi che lo scenario libico ci pone davanti.

(Federico Ferraù)

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Tags: Giorgia MeloniGoverno Meloni

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