Con le manovre militari al confine con la Colombia, Paese che ha ritirato la propria rappresentanza diplomatica dal Venezuela, Maduro ha scelto apertamente di abbracciare la forza per tentare di dare una risposta, soprattutto interna, alla crisi del suo regime che, finalmente, dopo la scoperta da parte dell’Onu di quasi 5.800 prigionieri politici sulla cui fine non si sa nulla, non sa veramente più che pesci pigliare. La prossima riunione generale delle Nazioni Unite verrà disertata da Maduro, sostituito dalla sua ministra degli Esteri, la famosissima Delcy Rodriguez, protagonista in una riunione generale del Mercosur a Buenos Aires dell’episodio di un finto attacco nei suoi confronti operato dalla Gendarmeria (voleva forzare il blocco imposto, visto che il Venezuela era stato sospeso dalla riunione), con tanto di finta frattura al braccio destro, miracolosamente guarito una volta tornata in Patria.
La cara Delcy presenterà una petizione raccolta dal regime con più di un milione di firme. “Ho incaricato la vicepresidente e il ministro degli Esteri di consegnare al Segretario generale delle Nazioni Unite le firme che il popolo ha dato, e dire al mondo che qui c’è la stragrande maggioranza della popolazione del Venezuela che dice basta al blocco e alle sanzioni”, ha dichiarato Maduro. Titolo del documento e della campagna governativa: “No more Trump”. Un titolo significativo, visto che proprio due settimane fa lo stesso Maduro aveva dichiarato come fossero in corso trattative con gli Usa (di Trump) per cercare di trovare una soluzione alla tragedia venezuelana e indire libere elezioni.
Ora si torna al classico della “mano dura” con esercitazioni, che si protrarranno fino al 30 settembre, in cui sono impegnati più di 150.000 militari, cosa che ha spinto gli Usa a inoltrare un reclamo su un pericolo di guerra invocando il Tiar, noto anche come Trattato di Rio perché adottato in quella città nel 1947, in base al quale i ministri degli Esteri possono adottare misure che vanno dall’interruzione delle relazioni diplomatiche all’impiego delle forze armate.
Mercoledì scorso è stata convocata una riunione, nell’ambito dell’Organizzazione degli Stati Latinoamericani, di 19 ministri degli Esteri che fanno parte del sunnominato trattato per valutare “l’impatto destabilizzante” della crisi in Venezuela, che rappresenta “una chiara minaccia alla pace e alla sicurezza nell’emisfero”.
Durante la sessione, Argentina, Brasile, Cile, Cile, Colombia, Repubblica Dominicana, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Paraguay, Stati Uniti e Venezuela hanno votato per attivare l’organo consultivo Tiar. Costa Rica, Panama, Perù, Trinidad e Tobago e Uruguay si sono astenuti, mentre le Bahamas e Cuba – membro non attivo dell’Osa che non si è mai ritirato dal Tiar – erano assenti. Il Costa Rica ha tentato inutilmente di approvare un emendamento alla risoluzione che esclude l’uso della forza armata come alternativa, mentre l’Uruguay ha dichiarato che la situazione attuale in Venezuela non consente l’attivazione del trattato. Il Messico ha invece evidenziato come ci si stia avvicinando a un punto di non ritorno.
La Colombia ha un confine con il Venezuela che si estende per oltre 2.200 chilometri e che ha registrato in questi anni una vera e propria fuga di massa dal Venezuela, assorbendo gran parte dei 3 milioni e mezzo di venezuelani che hanno abbandonato il proprio Paese. Insomma, si prospetta un intervento militare a sostegno di un Presidente ad interim, Juan Guaidó, che ha terminato tutte le possibili ipotesi per poter convincere Maduro a libere elezioni?
La cosa appare poco probabile principalmente per due ragioni: la prima, più ovvia e sempre sostenuta non solo da noi, è che in questo “gioco” pericolosissimo chiunque metta mano al fucile perde. La seconda è che tutta la manovra messa in scena da Maduro sia una rappresentazione teatral-cinematografica per salvare la faccia (sua) di fronte a quelle masse che ancora credono nella sua “Revolucion” sia in Venezuela che all’estero, dove il suo Governo trova un appoggio da parte di un mondo radical-chic che però si tiene ben lontano dalla zona di operazioni, preferendo star rintanato nei propri panfili o ville. Spesso agitando il pugno chiuso, come accaduto all’ex Pink Floyd Roger Waters la settimana scorsa al Festival internazionale del cinema di Venezia, forse dopo uno spritz al Danieli condito con tartine al caviale.
Tutto quanto fa spettacolo, l’apparenza ormai vince sull’essere, e Maduro pare voglia anche lui la sua parte da “Re leone” quale non è in modo da salvare la farsa della “Revolucion” che sempre, alimentata dal caro Rousseau con il suo “Contratto Sociale”, ha partorito solo dittature che hanno fatto più morti di 4 ipotetiche guerre mondiali. Ma d’altronde pure il filosofo francese che Voltaire definiva “Il cane impazzito di Diogene” non ha mai brillato per coerenza, comportandosi sempre all’opposto di quello che scriveva. Altri tempi, si dirà, ma molto simili al populismo di oggi che a lui si è ispirato (purtroppo) e che, nel caso di Maduro come molti altri dittatori, monta una scena per poi rifugiarsi in un miliardario “buen retiro” a godere di quanto rubato nella tragedia di cui è ancora, purtroppo, protagonista.