Il cardinale Pietro Parolin ha offerto una visione profonda dell’Ucraina, vista non solo come una nazione messa a dura prova dalla guerra ma come un simbolo di resilienza morale, un popolo che – nonostante la sofferenza – non rinuncia mai alla propria dignità e libertà e durante la conferenza “Toward a Theology of Hope For and From Ukraine” – organizzata a Roma dalla Pontificia Università Gregoriana – Parolin ha voluto mettere in evidenza che la resistenza del popolo ucraino non si limita all’ambito militare o politico ma è una “resistenza spirituale”, che trae origine dalla fede, dalla speranza e dal desiderio di libertà.
Nonostante il dolore provocato dal conflitto – che dal febbraio 2022 ha causato migliaia di vittime e milioni di sfollati – la fede in Ucraina non è mai svanita ma piuttosto è rinata in gesti concreti e quotidiani come le celebrazioni nei rifugi antiaerei, processioni tra le rovine, giovani che pregano il Rosario in trincea e Parolin ha affermato che la speranza cristiana – in questo contesto delicato – “è già Resurrezione seminata nella storia”, una speranza che – nonostante tutto – si fa presenza attiva, un segno che la sofferenza non è mai l’ultimo capitolo ma un mezzo per il riscatto spirituale.
L’Ucraina dunque, è oggi “emblema di speranza sottoposta alla prova più dura” e la guerra, la perdita, la morte sono realtà quotidiane ma proprio da questo dolore si alza un grido che richiama la teologia, invitando a costruire un futuro di pace; Parolin ha poi evidenziato come l’Ucraina – anche se martoriata – non debba essere vista come una nazione ferita e umiliata ma come un popolo che, nella sofferenza, continua a testimoniare il valore della dignità umana, dell’amore per la patria e della libertà.
La resistenza ucraina – per il cardinale – è la testimonianza di una cultura, di una fede, di una tradizione spirituale che non si arrendono alla violenza ma che parlano invece di speranza e resilienza e in un mondo che spesso riduce i popoli sofferenti a vittime passive, Parolin ha esortato tutti a non rimanere “spettatori passivi”, ma a rispondere a questa chiamata alla dignità e alla giustizia; la Chiesa – ha voluto rimarcare – non si limita a osservare ma è impegnata nel sostegno concreto alla popolazione, nelle preghiere e negli aiuti umanitari portando avanti la testimonianza di una speranza che non conosce fine.
Parolin sull’Ucraina: la speranza cristiana come fondamento di pace in Vaticano
Parolin ha poi tracciato un parallelelismo tra Papa Francesco e Papa Leone XIV mettendo in luce come entrambi abbiano cercato di costruire la pace attraverso la verità e la fede, pur nelle differenze storiche e geografiche: “Due Papi, due voci, ma accomunati dallo stesso sentimento” ha detto il cardinale, osservando che entrambi hanno cercato di costruire la pace attraverso la verità e la fede, senza mai arrendersi alla logica della guerra e se Francesco ha insistito sull’importanza del dialogo come unica strada percorribile per porre fine al conflitto, Leone XIV – considerato “uomo di pace” – intende promuovere una diplomazia che unisca la spiritualità con l’azione concreta per arrivare a una pace duratura.
Parolin ha enfatizzato come la Chiesa ucraino-cattolica – pur essendo stata perseguitata storicamente e danneggiata dalle attuali devastazioni – offra un sostegno spirituale, psicologico e materiale alla popolazione e nel suo discorso, ha esortato la comunità internazionale a tradurre la solidarietà in impegni concreti e a non limitarsi a rimanere spettatori del conflitto ma a intervenire politicamente ed economicamente per sostenere l’Ucraina nella sua lotta.
Il Vaticano – ha aggiunto – può e deve avere un ruolo attivo nelle trattative di pace, fungendo da mediatore tra le parti in conflitto con la pace e la ricostruzione del Paese – ha concluso – dovrà partire prima dalla guarigione delle coscienze, e solo dopo dal risanamento delle infrastrutture materiali perché la vera pace non può prescindere dalla cura delle anime e dei cuori e in un contesto così doloroso, il mondo intero è chiamato a fare la propria parte, a non girarsi dall’altra parte ma a rispondere con coraggio alla chiamata di speranza e giustizia che proviene da quel popolo martoriato.