Virginia Giuffre, accusatrice di Jeffrey Epstein e del principe Andrea, cui era stata data come schiava sessuale quando aveva 17 anni, aveva dichiarato tempo fa: “Non posso essere considerata in alcun modo una persona con mentalità suicida… Troppe persone malvagie vorrebbero vedermi zittita”. Il principe Andrea aveva evitato il processo dopo un accordo extra-giudiziale costatogli dieci milioni di euro.
L’improvvisa morte di Virginia in circostanze misteriose è stata dichiarata suicidio.
Lo stesso Epstein si sarebbe suicidato nel 2019 mentre era in carcere, impiccandosi ad un letto a castello. Lasciamo ai lettori dotati di un minimo di senso critico giudicare come ci si possa suicidare in questo modo, con una corda appesa ad un letto all’altezza della testa. E in una cella sottoposta a videosorveglianza h24. Eppure tutti i mass media hanno sostenuto trattarsi di suicidio.
A questo punto possiamo rilevare che in un simile gioco di informazione/disinformazione vale tutto, e quindi, piuttosto che prendere per buone delle notizie solo perché provenienti da fonti cosiddette “ufficiali”, proviamo a ragionare secondo logica.
Cominciamo con l’analizzare la figura di Jeffrey Epstein, un oscuro insegnante ebreo di fisica e matematica neppure laureato, che fu licenziato nel 1976 per scarso rendimento dalla prestigiosa Dalton School di New York dopo due anni di contratto. Subito dopo questa sgradevole esperienza entrò nel settore bancario e finanziario come assistente junior a Bear Stearns. Qui scalò rapidamente i ranghi, diventando trader di opzioni e, successivamente, consulente per clienti facoltosi, tra cui Edgar Bronfman, uomo d’affari canadese-americano e presidente di lunga data del World Jewish Congress.
Dopo aver lasciato Bearn Stears in seguito alla violazione delle regole imposte dalla SEC alle piccole medie imprese, intraprende una serie di attività spesso al limite dell’illecito, tra cui brilla la sua assunzione come consulente del noto truffatore Steven Hoffenberg, autore di uno dei più efferati schemi Ponzi che si ricordino. Ulteriori dettagli della sua rocambolesca carriera costellata di fallimenti e crimini finanziari si possono recuperare interrogando qualsiasi piattaforma di intelligenza artificiale.
La vera svolta di Jeffrey inizia dopo che Leslie Wexner, fondatore di L Brands (che include Victoria’s Secret, Bath & Body Works ed Express) gli “affida” la gestione del suo patrimonio di quasi sette miliardi di dollari, convogliando verso la nuova Financial Trust Company di Epstein la gestione di altri grandi patrimoni, ma senza che venga mai pubblicato un bilancio con transazioni né un rendiconto di profitti e perdite.
C’è un elemento sicuramente rilevante da prendere in considerazione: tutti i personaggi con cui Epstein traffica appartengono al mondo della finanza ebraica, una lobby assai generosa nel costituire fondazioni e associazioni pro-Israele. E non ci sarebbe niente di male, se nel frattempo non si scoprisse che Epstein agiva (pare) in nome e per conto di servizi segreti per i quali viaggiava per il mondo con passaporti falsi. E visto che l’immenso giro di denaro a disposizione di Epstein proveniva dalla finanza ebraica, non si è dovuto aspettare molto per veder tirare in ballo il Mossad.
Inoltre, come si può credere che un personaggio senza titoli né adeguata preparazione sia diventato di colpo un genio della finanza? Molto più semplice ipotizzare che si sia prestato a svolgere un gran lavoro sporco per conto terzi.
La sua ultima e più luciferina trovata – in cui molti sospettano ci sia proprio la mano di servizi che hanno sempre usato il ricatto come arma preferita – è stata la costruzione di un resort alle Virgin Islands in cui i potenti del mondo andavano a sollazzarsi non solo con escort ma anche con minorenni (da qui il caso giudiziario che ha coinvolto il principe Andrea).
Secondo affermazioni attribuite alla stessa Giuffre, dietro ogni specchio delle stanze ci sarebbe stata una telecamera che videoregistrava, così da fornire ai gestori dell’operazione una colossale arma di ricatto verso i potenti inclini a vizi molto spesso perversi.
Ecco perché ad un certo momento, Trump ha cominciato a seminare il panico tra i membri del gotha della politica e dello spettacolo, dichiarando a gran voce che Pat Bondi, la neo-nominata procuratrice generale, avrebbe ben presto mostrato all’universo mondo il contenuto degli “Epstein files”.
Ma dopo settimane di fibrillante attesa, la montagna ha partorito un topolino: Pat Bondi ha divulgato una lista degli ospiti del resort e dei passeggeri dell’aereo di Epstein, soprannominato Lolita Express, ma senza mostrare nessuno dei 2mila file di cui si parla da tempo, ciascuno dei quali potrebbe contenere una quantità di foto e soprattutto di video. L’elenco dei viaggiatori e degli ospiti può alimentare sospetti, ma certo non certifica alcun illecito. Oltretutto quella lista circolava già da tempo tra i media in forma carbonara, dalla quale lista si evinceva ad esempio che Bill Clinton aveva viaggiato decine di volte sul Lolita Express, che a detta della Giuffre era una sorta di bordello volante.
Ma allora perché c’è stato un improvviso richiamo alla sicurezza nazionale da parte di Pat Bondi per non divulgare i file, mentre Trump ha pure accusato l’FBI di averne occultato un bel numero?
Non resta che ragionare secondo il “cui prodest”. C’è chi sostiene che tutto è stato bloccato perché nei file ci sarebbero prove troppo imbarazzanti a carico di personaggi intoccabili, in particolare vertici della lobby ebraica negli USA.
Altri sostengono, ed è la tesi che condivido, che nel momento in cui Trump sta ingaggiando una lotta senza quartiere con il Deep State, non può combattere contemporaneamente su troppi fronti, cosa che in realtà sta già avvenendo.
Così, in omaggio ad un vecchio proverbio del Far West secondo il quale la pistola più pericolosa è quella che si tiene nascosta in tasca, Trump preferisce tenere sulla corda i suoi avversari, ripagandoli della loro stessa moneta, perché mai avrebbero potuto immaginare che quelle telecamere avrebbero ripreso pure loro. Inoltre gli improbabili suicidi di cui è costellata questa storia fanno capire che ci troviamo di fronte a persone disposte a tutto purché non si divulghino verità devastanti.
Se due indizi sono una prova, tre indizi sono una certezza, era solita ripetere Agatha Christie.
In una brutta e sporca faccenda in cui gli indizi sono assai di più di tre, data la posta in gioco, ci vorranno invece delle schiaccianti prove reali. Forse le avremo, ma solo quando la guerra di Trump contro il Deep State avrà conquistato nuovi traguardi.
Per il momento, rassegniamoci: la pistola resta nascosta in tasca.
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