CAT STEVENS/ “Tea for the tillerman” 50 anni dopo: il viaggio è compiuto

- Paolo Vites

Tea for the tillerman fu uno dei più grandi successi degli anni 70, oggi 50 anni dopo Cat Stevens lo ha reinciso con nuovi arrangiamenti

catstevens 640x300 Cat Stevens cinquant'anni fa

Non c’era cameretta di studenti dei college in quei giorni che non contenesse una copia di Tea for the tillerman, il secondo album che il cantautore inglese Cat Stevens di origine greca aveva inciso nello stesso anno, il 1970. Il precedente Mona Bone Jackson, pur contenendo la bellissima hit Lady D’Arbanville, era stato quasi de tutto ignorato.

Cat Stevens era tornato sulle scene dopo essere stato un idolo per teenager alla fine dei 60 e dopo un anno di ricovero per tubercolosi.  Lui e altri, James Taylor per dirne uno, stavano identificando il nuovo rock dopo il grande sbandamento cosmico degli anni 60: non più chitarre elettriche acide e furiose, non più assoli di batteria che duravano un quarto d’ora, non più chiamate a scendere per le strade a cambiare il mondo.

Loro, con una chitarra acustica e poco altro, stavano aprendo la strada alla “me generation”, la generazione della ricerca nel privato, nell’intimo, dopo la delusione di aver visto sfumare le grandi ideologie di pace & amore.

Cat Stevens era il più indicato per fare questo. Di tutta la musica di quel periodo, l’album che ha dimostrato forse più longevità e fascino costante è proprio Tea For The Tillerman, una dichiarazione di intenti, pertinente oggi come lo era quando uscì nel 1970, con forti temi di ambientalismo, divisioni generazionali, cambiamento e crescita personale. Dentro di lui un’ansia di trovare il senso della vita, una ricerca spirituale a 360 gradi, la delusione dello star sistem che aveva vissuto qualche anno prima quando giovanissimo era stato buttato nel mondo dello spettacolo: grandi successi come The first cut is the deepest ma anche una vita esagerata, in tour con Jimi Hendrix, droga e sesso in abbondanza.

Esperienze che racconta benissimo in brani come Hard Headed Woman e Wild World. Non era più come negli anni 60 dove bastava un sorriso e un fiore, adesso i tempi si erano fatti cattivi:

You know I’ve seen a lot of what the world can do

And it’s breakin’ my heart in two

Because I never wanna see you sad girl

Don’t be a bad girl

But if you wanna leave, take good care

Hope you make a lot of nice friends out there

But just remember there’s a lot of bad and beware, beware

Oh, baby, baby, it’s a wild world

It’s hard to get by just upon a smile

E ancora:

I know a lot of fancy dancers

People who can glide you on the floor

They move so smooth but have no answers (ooh whoa oh)

When you ask them, “What you come here for? (I don’t know)

Why?”

I know many fine feathered friends

But their friendliness depends on how you do

They know!

Nel gran mare rock di quel periodo si cercavano nuove forme espressive estreme, il prog sperimentalista di Emerson Lake and Palmer, la teatralità dei Genesis, il glam di David Bowie. Cat Stevens si esprimeva invece con delicatezza, gentilezza, profondità dei sentimenti comuni a tutti. Per questo, da molti definito un piccolo idolo pop, sapeva invece arrivare a tutti. E ci sarebbe rimasto, nonostante il ritiro dalle scene musicali nel 1977 ormai privo di motivazioni e improvvisamente convertitosi all’islam, terminando la sua irrequieta ricerca che lo aveva ferito per tutto il decennio.

Dopo qualche mese il disco sfondò in America arrivando al numero otto delle classifiche. Da lì in avanti, per circa un lustro, pochi artisti nel mondo avrebbero venduto quanto Cat Stevens.

A cinquant’anni esatti di distanza dall’uscita di quel disco, oggi Yusuf Islam ha deciso di recidere con nuovi arrangiamenti l’intero disco. Sono tornati il produttore di allora, Paul Samwell-Smith, e il chitarrista che lo accompagnò per tutto il decennio, Alun Davies.  A loro si aggiungono il bassista Bruce Lynch, membro della band di Yusuf dalla metà degli anni ‘70, il chitarrista Eric Appapoulay e il polistrumentista Kwame Yeboah (percussioni e tastiere) che fanno parte dell’attuale live band di Yusuf. Il risultato di Tea for the Tillerman² è straordinario, anche se potrebbe deludere i fan di vecchia data, ma il cantautore si dimostra con una visione musicale e voglia di sperimentare più vive che mai: “Anche se il mio cammino di cantautore non è limitato a Tillerman, le canzoni di quell’album mi hanno sicuramente definito ed hanno indicato la strada per il viaggio della mia vita misteriosa. Da quelle session originali ai Morgan Studios di Willesden nel 1970, Tillerman è cresciuto ed ha sviluppato la propria influenza sulla storia della musica e come colonna sonora per la vita di così tante persone. Come se il destino fosse in attesa di accadere, T4TT² sembra che il tempismo del suo messaggio sia arrivato di nuovo”.

Come già Graham Nash in Teach Your Children, Stevens affronta lo scontro generazionale, tema di sempre ma in quel periodo storico particolarmente sentito, con l’immortale Father and Son ancora oggi una canzone manifesto. Nella nuova versione del disco ha usato la sua voce di oggi, quella di un uomo di 70 anni usurata dal tempo per la parte del padre e la sua di quando aveva poco più di vent’anni registrata nel 1970. Si compie così un percorso cominciato 50 anni fa, padre e figlio si parlano davvero e mentre l’anziano dice ancora al giovane di prendere le cose con calma, di non essere un ribelle, trovarsi una donna e sistemarsi, il Cat Stevens giovane urla ancora la sua rabbia: “All the times that I’ve cried, keeping all the things I knew inside, it’s hard, but it’s harder to ignore it” e prende la sua strada. Quello che ogni figlio, sempre, deve fare e che ogni padre deve permettere.

In una recente intervista pubblicata su GQ Magazine, Yusuf Islam dice: “È una canzone potente, qualunque sia il modo in cui ti avvicini. Puoi prendere molte posizioni diverse al proposito. Alcune persone la mettono in relazione con i propri genitori e la propria famiglia. Questa è la cosa grandiosa della giovinezza: hai una nuova visione della vita. Arriva, nuova di zecca e dice: “Bene, OK, cosa sta succedendo? Perché stai facendo questo? Non c’è un modo migliore?”. Il bambino è audace con tutti i tipi di domande, essendo in grado di sfidare lo status quo, che è quello che stiamo affrontando quando nasciamo in un sistema. Ad esempio, sulla questione razzista [e le proteste globali di Black Lives Matter]. La gente dice: “Perché continuiamo a seguire questa strada? Non sta portando a qualcosa di positivo, quindi perché non possiamo tutti guardare ai nostri ideali e rivisitarli?” E questo è fantastico. Voglio dire, questo è il messaggio della canzone. Diamo un’occhiata ai nostri ideali. E vediamo se siamo nel posto giusto ora; se non lo siamo, spostiamoci”. E aggiunge di identificarsi ancor oggi con il figlio “anche se con la barba bianca che ho assomiglio molto di più a lui”.

E’ lo stesso messaggio di rifiuto che emerge dalla drammatica I might die tonight, che nel nuovo disco diventa un crescendo drammatico con arrangiamenti orchestrale di ampio respiro:

I don’t want to work away

Doing just what they all say

Work hard boy and you’ll find

One day you’ll have a job like mine, job like mine, a job like mine

La vita non si può risolvere in uno spazio dalle 9 alle 5, in un carrierismo, in uno sfruttamento in cui invece oggi siamo tutto immersi, ma che Cat Stevens profetizzava già 50 anni fa.

Così come era avanti nel denunciare la distruzione del nostro pianeta, in una visione che allora poteva sembrare esagerata ma che oggi dimostra essersi avverata, in Where do the children play. “È diventato chiaro che ciò di cui stavo parlando, il problema, non è andato via. È diventato più grande e più pericoloso. Se lo ascolti, c’è anche un riferimento a ciò in cui viviamo: un mondo aziendale. Ed è per questo che questa ribellione o ripresa nel voler ritrovare il nostro equilibrio umano, e la libertà che ne consegue, sta accadendo. È ottimo. Abbiamo una voce”.

Longer boats diventa una bella ballata acustica in chiave West Coast poi improvvisamente cambia in un funk con voci che si interpongono, un gran divertimento: “L’ho cambiato radicalmente. Mi sono fermato ad un certo punto, dopo un certo accordo, e mi sono imbattuto in un approccio funky alla James Brown. Ed è stato fantastico!”.

Ma il cambiamento più sconvolgente è certo quello di Wild World, uno dei suoi pezzi più amati e di successo di sempre: “In “Wild World”, ho dato di matto e ho fatto qualcosa di completamente diverso. Lo chiamo il mio arrangiamento “in bianco e nero”: risale ai film in bianco e nero, a Casablanca e ai bar fumosi”. Il pezzo viene anche ridenominato in Wild World Rag, l’atmosfera è davvero quella dei localini di New Orleans, il risultato è splendido.

Pochi artisti sono mai stati in grado di rileggere loro vecchie canzoni e trasformarle in qualcosa di nuovo ma con lo stesso pregnante significato di quando vennero composte. C’è un grande senso di libertà e affidamento nelle nuove versioni straordinarie come il rock blues con slide in evidenza di Miles from nowhere o il rock blues anni 70 di On the road to find out.  Yusuf/Cat Stevens c’è riuscito ed è la prova che il suo messaggio era davvero universale. Come T.S. Eliot una volta scrisse: “Non smetteremo di esplorare, e la fine di tutta la nostra esplorazione sarà arrivare dove abbiamo iniziato e conoscere il luogo per la prima volta.”


Tea for the Tillerman²  esce il prossimo 18 settembre






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