Non è frequente che lo sguardo rivolto alla storia del passato si pieghi anche sulla realtà del presente e tenti di tracciare le linee per procedere verso il futuro. A questa sfida accetta di sottoporsi il recente volume di Ernesto Galli della Loggia, Dopo la fine. Il declino pubblico del cattolicesimo in Italia (Studium, 2025), che raccoglie soprattutto i frutti della sua attività di editorialista per alcuni dei più importanti quotidiani nazionali.
I numerosi interventi qui riproposti convergono intorno a centri di interesse che si riaffacciano di continuo sullo sfondo dell’analisi condotta. E su diverse implicazioni decisive delle valutazioni offerte vale la pena soffermarsi a riflettere, partendo da come viene disegnato il controverso e mai definitivamente compiuto processo di costruzione dell’identità collettiva dello Stato italiano, dalla svolta coincidente con l’unificazione ottocentesca fino ai giorni nostri.
Sulle premesse risorgimentali, il giudizio dell’autore è palesemente critico. La strategia adottata dall’élite che promosse le guerre contro l’Impero austriaco e l’inglobamento degli antichi organismi regionali sotto l’egemonia sabauda rispose a logiche di severo accentramento uniformatore, erodendo le tradizioni di autogoverno delle entità politiche preesistenti e dei loro ceti dirigenti.
L’operazione di assimilazione si sposò con una “espulsione di fatto” della componente religiosa radicata nel tessuto sociale del Paese, lasciata ai margini del nuovo edificio istituzionale in via di allestimento. Prevalse la scelta a favore di una “separatezza” che premiò l’arroccamento sulle posizioni del laicismo secolarizzatore e aprì una frattura nel corpo vivo dell’amalgama nazionale mai più totalmente risanata in seguito.
Il “dissidio di fondo” tra le aspettative nutrite dalla stragrande maggioranza ancora legata al robusto prestigio della Chiesa di Roma e gli orientamenti verso cui spingeva il governo dall’alto della vita collettiva innescò una “competizione” pronta a riversarsi in estenuanti situazioni di conflitto, con una catena interminabile di scontri, di ostilità difficili da oltrepassare, veri e propri momenti di “guerra” (così li definisce senza mezzi termini Galli della Loggia).
Credo sia una forzatura indebita pensare a una sistematica persecuzione liquidatoria, come ha voluto costantemente ribadire il conservatorismo cattolico più inflessibile, nemico di ogni accenno di innovazione. Ma certamente il risultato fu la creazione di un “Paese diviso”, privo di un solido patrimonio di valori comuni, di visioni ideali cordialmente riconosciute, di indirizzi da perseguire in vista di un bene generale capace di ricomprendere in sé gli interessi dei diversi soggetti costitutivi del nuovo Stato nazionale unificato.
Il contenzioso acceso dall’abbattimento del potere temporale dei papi e dall’annessione di Roma fu solo la punta di un iceberg che poi si allargò alle svariate espressioni del divorzio tra l’anima religiosa ereditata dalla vecchia Italia dei mille campanili e l’impostazione culturale privilegiata dalle oligarchie dominanti, specialmente in riferimento agli indirizzi secondo cui promuovere lo sviluppo in direzione della modernità.
Il dualismo che si introdusse ostacolò il radicamento nel corpo della società di un ethos civile in grado di disciplinare l’agire politico e di subordinare a sé l’esercizio effettivo del potere, lasciando un vasto campo aperto alla degenerazione in senso privatistico, autoreferenziale e non di rado disgregatore, delle varie lobbies coinvolte nella gestione della “cosa” pubblica.
In dialettica con il vuoto che si era prodotto cominciò a delinearsi, dopo il passaggio al Novecento, il tentativo di conquistare uno spazio adeguato per reinserire il patrimonio delle energie spirituali e dell’intraprendenza operosa del retroterra cattolico nell’impianto della nazione, sollevandosi fino ai piani superiori dell’elaborazione normativa delle leggi e della loro applicazione, a partire dal centro degli apparati di governo. Si mise in moto l’ideazione di un partito di ispirazione cristiana, finalizzato non più alla polemica intransigente contro il vizio d’origine della monarchia sabauda, ma all’uso riconvertito degli strumenti che essa metteva a disposizione.
Gli scritti di Galli della Loggia illuminano diversi risvolti significativi di questo ritrovato desiderio di protagonismo dei cattolici italiani nel corso dell’ultimo secolo. Si tratteggiano i contorni dell’originario progetto aconfessionale sturziano, la paralisi forzata imposta dall’affermarsi del totalitarismo fascista, quindi il passaggio alla parabola del partito cattolico dell’ultimo dopoguerra, che avrebbe visto la messa in crisi dell’impostazione saldamente “di centro” e filoliberale, sostenuta da De Gasperi in continuità con le posizioni del fondatore del Partito Popolare italiano, a vantaggio dello spostamento, se non altro retorico e formale, sulle linee di una sorta di messianismo secolarizzato, propugnatore dell’ideale di una “nuova cristianità” da realizzare attraverso la rigenerazione globale della città dell’uomo, affidata alla cura provvidente dello Stato democratico di segno “perfettista”.
Un tale genere di prospettiva era la bandiera dall’ala di sinistra dello schieramento democristiano, da La Pira e Dossetti ai loro più tardivi interpreti, quella che spingeva in direzione dell’instaurazione di un modello di società organicista, improntato ai princìpi di una fraternità e di una giustizia integrali, su molti lati subalterni ai programmi ideologici di uno schieramento social-comunista avviato a conquistare sempre più decisamente la leadership sul fronte dei meccanismi di elaborazione della cultura e di affermazione del prestigio intellettuale.
Il tentativo di incarnazione storica dei “valori cristiani” in un nuovo ordine sociale trasfigurato si è miseramente arenato, dopo la crisi della “prima repubblica” e il conseguente sbriciolamento del partito unico dei cattolici, in un nuovo rischio di pesante marginalizzazione della soggettività religiosa. Di fronte ai complessi travagli dell’ultima modernità post-industriale, tra crescita inarrestabile dell’individualismo atomizzato e insidie disumanizzanti della tecnocrazia dilagante, la via di uscita auspicata dall’autore del nostro volume è, a sua volta, squisitamente politica.
Ma qui si introduce una vistosa problematicità: allo svuotamento dell’autonomia di proposta e della capacità di presenza originale dei cattolici nella sfera della conduzione dei destini collettivi del loro Paese mi sembra insufficiente pensare che si possa rispondere, in prima battuta, con la ripresa di una convergenza partitica inquadrata secondo le direttive di un orizzonte di pensiero rinnovato sulle sue basi, anche se dovesse realizzarsi, come rivendica Galli della Loggia, l’improbabile abbandono di ogni radicalismo di matrice utopica per reintegrarsi, più sobriamente, nel solco del liberalismo moderato di tradizione anglosassone, antigiacobino e ultimamente, secondo la sua lettura, filoreligioso, in ogni caso individualista e poco propenso alla coesione solidaristica.
In realtà, la fine dell’unità politica dei cattolici costringe a fare i conti con la fine di ogni possibile versione del collateralismo, sia di centro-destra, sia di sinistra. L’eclissi dell’intromissione diretta nella sfera della gestione del potere ha determinato una possibilità di purificazione della soggettività cristiana in quanto tale e la sua riconversione su ciò che è il suo cuore essenziale.
Il banco di prova dove la fede può veramente sfidare la crisi dell’uomo moderno non può più essere solo la razionalità dell’ingegneria ordinatrice della vita sociale, ma in prima istanza, su un piano più profondo, il recupero delle ragioni che devono animare la vita del credente in tutti gli aspetti della realtà della condizione umana, lanciandolo nel dinamismo di una proposta aperta a contagiare l’intero scenario del contesto in cui si trova immerso. Ѐ solo ripartendo dal cuore dell’esperienza cristiana integralmente accolta e totalmente condivisa che gli uomini di fede possono portare il contributo del loro amore per il destino buono della persona e la pratica di una carità che redime dal rischio dell’egocentrismo solitario.
La responsabilità politica appare oggi chiamata a concepirsi come il frutto di un albero dalle radici risolutamente extrapolitiche. Su queste bisogna prioritariamente scommettere: ripartendo dalla fonte, non dalla ricerca dell’esito. Per tornare a essere autenticamente feconda, la politica vissuta in quanto cattolici deve attingere da altro da sé il suo nutrimento. Inoltre è una responsabilità che chiama in causa la coscienza del singolo fedele in quanto cittadino consapevole e formato. Non può più esporsi al rischio sempre incombente di compromettere e parcellizzare la superiore unità della comunione cristiana, trasponendola senza tutte le necessarie mediazioni e precisi paletti di distinzione nell’arena del confronto in cui si frantuma, oggi più che mai, la fluttuante galassia dei soggetti detentori di una frazione, magari anche minima, delle leve di autorità.
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