A conclusione della 50esima Settimana sociale di Trieste (luglio 2024) è nata La Rete di Trieste, con l’obiettivo specifico di sollecitare un rinnovato impegno da parte dei cattolici e uscire dall’inganno delle polarizzazioni, con l’ambizione di essere qualcosa più di un semplice partito. La Rete di Trieste ha chiamato a raccolta centinaia di amministratori locali con una specifica vocazione al far politica, nella sede più prestigiosa che si possa immaginare: la Domus Mariae, ben nota a chi conosce un po’ della storia dell’impegno politico dei cattolici in Italia.
Due, almeno nel titolo (“La rete di Trieste. (Perfino) più di un partito”) le condizioni espresse dall’invito-programma: non voler fare un nuovo partito e superare la polarizzazione che da alcuni decenni schiaccia le diverse visioni della politica italiana in una sorta di conflittualità permanente, sterile e deleteria per il Paese. Non un nuovo partito quindi, ma neppure un assist ad uno dei partiti attuali, il Pd ad esempio, che in alcuni ambiti specifici lascia molto a desiderare. La disastrosa gestione della legge sul suicidio assistito in Toscana ne è un’evidente dimostrazione.
Eppure, la presenza dei cattolici presenti al convegno sembrava in grandissima maggioranza di provenienza dall’area del centro-sinistra, o meglio storicamente i senior arrivavano dall’area Dc, transitati tra i Popolari per confluire più tardi nella Margherita. Il disagio dei cattolici nel Pd in effetti è in gran parte da ascrivere proprio all’ambigua convergenza – all’atto della fondazione del Pd – della Margherita con i Ds, che nella loro matrice culturale erano l’antagonista storico della Dc.
Di fatto alla Domus Mariae la presenza di coloro che avevano fatto politica negli ultimi anni era in massima parte di cattolici a provenienza Margherita. Pochissime le presenze di chi veniva da Forza Italia e dall’Udc. La sensazione iniziale quindi, paradossalmente, era che la polarizzazione invece di risolversi in una rinnovata potenziale unità e collaborazione, finisse col rafforzare solo una delle sue componenti, quella dei cattolici nel Pd. Nonostante quanto affermato dagli organizzatori, dichiarato in apertura di convegno e scritto nel materiale distribuito ai convegnisti.
In realtà il cattolicesimo attuale è un fenomeno complesso e sfaccettato, che assume volti diversi a seconda dei contesti, delle sensibilità teologiche, delle sfide sociali e culturali con cui si confronta, ma anche a seconda dei partiti di appartenenza. I cattolici devono ancora imparare a coniugare rigorosamente fede e laicità, ispirandosi ai principi della Dottrina sociale della Chiesa (Dsc) in tutta la sua complessità: vita e dignità della persona, bene comune, sussidiarietà, solidarietà e cura del creato, ad esempio.
Il cattolicesimo contemporaneo è una realtà plurale, attraversata da tensioni interne che però offrono anche nuove possibili opportunità di dialogo e crescita. La sfida principale è trovare un equilibrio tra fedeltà alla tradizione, al magistero, insieme ad apertura ai segni dei tempi. Il nostro impegno sociale si scontra con una società sempre più individualista, dove la solidarietà è spesso vista come responsabilità dello Stato più che dei cittadini.
Il rischio è quello di un cattolicesimo “a pezzi”, in cui ognuno sceglie la parte che preferisce, mentre la vera esigenza è quella di ricondurre alla unitarietà e alla specificità il messaggio evangelico, che ci obbliga a promuovere un impegno integrale, che tenga insieme giustizia sociale, vita e famiglia, ecologia e diritti umani.
Nel dibattito attuale sembra che i cattolici, schierandosi in una sorta di dualismo tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti, tra europeisti e sovranisti, difendano solo alcuni principi, trascurandone altri. Per questo occorre ritrovare una formazione integrale che abbracci tutti gli ambiti della Dsc: una formazione completa e concreta, che vada al di là di certi steccati che l’attuale consuetudine ha reso drammaticamente pericolosi per l’unità dei cristiani in genere e dei cattolici in particolare.
Ma per superare gli steccati ideologici – l’inganno delle polarizzazioni di cui parla il programma del convegno – e per essere perfino “più di un partito” e rivolgersi a tutti i cattolici presenti in Italia, occorre tornare a definire cosa definisce il nostro essere cattolico, proprio per evitare di dare patenti di appartenenza a questo o a quello, escludendo questo o quello. E sono proprio i famosi valori non negoziabili a definire in cosa consista l’essere cattolico, nella sua specificità: è su questo punto che va ricondotto il dibattito e il confronto, perché è questa la radice comune da cui dobbiamo partire, anche prima di approdare alla Dsc nella sua profonda unitarietà.
I valori non negoziabili per definizione non sono né di destra né di sinistra, non li abbiamo inventati nessuno di noi; sono iscritti nella nostra natura, sono consolidati dall’esperienza, sono confermati dal Magistero. La loro garanzia è proprio nella loro non negoziabilità, hanno un che di eterno che si declina in modi nuovi in tempi nuovi e noi oggi abbiamo bisogno di riscoprirli e ridefinirli proprio per mantenere un dialogo franco e costruttivo tra noi cattolici prima e poi con i diversamente credenti.
Non esiste solo un cattolicesimo progressista, che spesso stravolge principi e valori, né un cattolicesimo tradizionalista, chiuso in sé stesso. C’è un cattolicesimo popolare che considera la questione antropologica e la questione sociale come due facce di una stessa medaglia; un cattolicesimo popolare, non populista, che vuole partecipare in prima persona alle sfide del nostro tempo e spesso lo fa scegliendo la strada del volontariato. In equilibrio tra fedeltà alla dottrina e attenzione alle sfide sociali, fatica a trovare visibilità per diverse ragioni, compresa una radicata polarizzazione mediatica.
I media tendono a dare spazio agli estremismi: da un lato, il cattolicesimo progressista che propone riforme radicali, dall’altro il tradizionalismo che si oppone a ogni cambiamento. Il cattolicesimo popolare, invece, si colloca in una posizione più equilibrata, meno spettacolarizzabile e quindi meno attraente per il dibattito pubblico. In un certo senso appare come una proposta non “notiziabile” e d’altra parte la cultura contemporanea tende a marginalizzare il discorso religioso, rendendo più complesso per il cattolicesimo popolare affermarsi senza essere percepito come compromesso debole tra posizioni opposte, mentre costituisce l’incipit e la speranza per ogni dialogo ed ogni confronto.
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