Il prezzo del petrolio ieri ha chiuso in calo del 2% riportandosi a livelli non distanti da quelli di lunedì scorso. Negli ultimi sette giorni il prezzo dell’oro nero è salito di appena sei dollari al barile, fermandosi a 73 dollari, con un rialzo dell’8%; in mezzo ci sono stati i bombardamenti israeliani sull’Iran e la ritorsione di Teheran. Ieri hanno chiuso in positivo anche i mercati azionari e questo completa lo scenario sposato dai mercati.
Gli investitori per ora non si aspettano alcuna guerra regionale e nemmeno il coinvolgimento delle infrastrutture petrolifere mediorientali o dei commerci che passano dallo stretto di Hormuz. Diversamente il prezzo del petrolio sarebbe già a livelli molto più alti di quelli di ieri e i mercati sconterebbero se non una recessione almeno un peggioramento netto dell’economia.
Ieri pomeriggio un’esclusiva del Wall Street Journal indicava che l’Iran stesse segnalando urgentemente la volontà di chiudere le ostilità e riaprire i negoziati sul suo programma nucleare. Nelle stesse ore anche Trump dichiarava che l’Iran volesse un accordo e la fine del conflitto. Israele, secondo quanto dichiarato da Benjamin Netanyahu ieri, aveva il pieno controllo dei cieli iraniani.
Gli Stati arabi finora non hanno mostrato di voler farsi coinvolgere da questo conflitto e lo stesso vale per gli altri possibili alleati di Teheran che oggi si trova isolato. L’Iran è già uscito ridimensionato dalla caduta di Assad in Siria e dall’intervento di Israele in Libano. Dal punto di vista economico, avrebbe poi molto più da perdere dei suoi nemici se il conflitto dovesse inasprirsi.
Con queste premesse le probabilità di un’escalation scendono e l’attenzione si sposta su quanto accadrà politicamente a Teheran, sulla sopravvivenza del regime e sui possibili sostituti; questo però agli investitori interessa relativamente. Nel breve e medio periodo quello che conta è se ci siano i presupposti perché il conflitto assuma una rilevanza regionale e se ciò possa impattare le infrastrutture petrolifere o i commerci. Le notizie di ieri e gli sviluppi delle ostilità sono state la conferma che per ora questa possibilità rimane lontana.
I “mercati” non sono onniscienti e la loro prospettiva riflette valutazioni parziali e orizzonti temporali di breve periodo. Nessuno può escludere che in Iran possa emergere una leadership più determinata a produrre l’atomica. Nello scacchiere medio-orientale alcuni degli attori con ambizioni regionali potrebbero mettere nel mirino lo stesso obiettivo dopo aver assistito a quanto successo in Iran. Un mese fa Stati Uniti e Arabia Saudita hanno discusso la collaborazione per un programma nucleare a uso civile. Riad aveva inoltre dichiarato di voler mettersi alla pari con l’Iran nel caso fosse diventato una potenza nucleare. Anche la Turchia nel medio periodo potrebbe coltivare queste ambizioni.
Le sacche di instabilità nel Medio Oriente rimangono e ci sono attori in grado di difendersi molto meglio di quanto non abbia mostrato l’Iran. È per questo che l’Europa, Italia in primis, avrebbe ogni interesse a lavorare per un equilibrio stabile e per mettersi al riparo da nuove tensioni perché per i prossimi decenni l’industria e l’economia italiane dipenderanno ancora da gas e petrolio; qualsiasi crisi in Medio Oriente minaccia quindi la loro sopravvivenza.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.