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Home » Politica » CHI SI È ASTENUTO?/ 20% anziani e fuori sede, 10% astenuti cronici, 20% disillusi: le sfumature del non voto

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CHI SI È ASTENUTO?/ 20% anziani e fuori sede, 10% astenuti cronici, 20% disillusi: le sfumature del non voto

Int. Enso Risso
Pubblicato 12 Giugno 2025
(Ansa)

(Ansa)

Il 70% di astensione al referendum fa seguito al 50% circa delle ultime elezioni. I ceti popolari delusi dai politici e allontanati da quesiti complessi

La disillusione nei confronti della politica trova conferma anche nei risultati dei referendum. Non solo di quello che si è appena tenuto sui temi del lavoro e della cittadinanza per gli stranieri, ma anche degli altri che si sono succeduti negli ultimi decenni, che spesso e volentieri il quorum non lo hanno raggiunto.


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Il 70% che non ha votato, osserva Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos e docente di teoria e analisi delle audience all’Università La Sapienza di Roma, è un’estensione di quel 50% che già non era andato alle urne in occasione delle scorse europee.

In generale, per comprendere l’astensionismo al voto bisogna tenere conto di due aspetti importanti: gli anziani che non sono più in grado di muoversi per andare a votare, o comunque lo farebbero con difficoltà, e i giovani che studiano fuori sede, che non hanno la possibilità di un voto telematico. Già solo sommando queste due categorie si raggiunge il 20% degli elettori. Ciò non toglie, naturalmente, che la disaffezione generale nei confronti della politica sia diffusissima. Soprattutto nei ceti popolari, dove il giudizio negativo per certe voci è addirittura il doppio di quello del ceto medio.


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Niente quorum per i referendum sul lavoro e sulla cittadinanza: è stata un’astensione politica o frutto di una scarsa comprensione o considerazione dei quesiti?

La quota del 70% che non è andata a votare si è andata a sovrapporre a quel 50% che già alle europee del 2024 non è andato alle urne per disinteresse e per distanza, in generale, dal momento elettorale. La bassa tensione politica intorno a questi referendum e anche il basso livello di informazione ha agevolato l’astensione. Teniamo presente, comunque, che negli ultimi 30 anni sono ben pochi i casi in cui si è raggiunto il quorum. Nel 2022, al referendum sulla giustizia andò a votare il 20%.


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Che cosa ha influito, quindi, su questo risultato?

La disillusione, il distacco, il disinteresse delle persone, molte delle quali sono rimaste a casa per stanchezza. Ci sono state anche persone di centrodestra che sono andate a votare: alcune si sono espresse per il sì, altre per il no. Per questo starei attento a dare una patente politica a questo tipo di referendum.

Cosa dicevano i sondaggi?

Un nostro sondaggio, tre settimane prima della consultazione referendaria, rilevava che sarebbe andato a votare solo un terzo degli elettori, mentre gli altri sarebbero rimasti a casa. Non avevamo chiesto le ragioni di questa scelta, ma in generale il tema di fondo è che i quesiti referendari sono sempre molto complessi e, se non sono legati a una tornata elettorale generalista, lasciano il tempo che trovano.

Perché è così difficile attirare l’attenzione su certi temi, almeno su quelli posti in questi anni nei referendum?

Nel referendum sul divorzio, che ha visto la partecipazione dell’80% degli elettori, eravamo di fronte a un dibattito molto forte, con una società che era molto attenta a questi temi. Negli ultimi 30 anni, invece, sono stati molto pochi i referendum che hanno raggiunto il quorum. Quando poi il dibattito politico verte sul chiedersi se andare o no a votare, si innesta comunque un meccanismo di disinteresse.

Più in generale, l’astensionismo che si è consolidato in questi anni che connotazione ha?

Il tratto principale è il disinteresse nei confronti della politica e della classe politica. In secondo luogo, riscontriamo una maggiore estensione del fenomeno nei segmenti sociali più poveri, quindi nelle classi popolari. Il ceto medio, invece, partecipa di più alle tornate elettorali.

Come viene motivata, nello specifico, l’astensione?

Il 30% si è astenuto perché ritiene che la politica sia sporca. Il 27%, invece, non va a votare perché pensa che, indipendentemente da chi vincerà, non cambierà niente. Il 24% esprime rabbia, mentre il 19% intende protestare contro i partiti politici e pensa che tutti i candidati siano uguali. Infine, il 17% crede che il sistema sia rotto al punto tale da non poter essere aggiustato con un voto. Poi bisogna considerare anche altri due elementi.

Quali?

Uno è l’invecchiamento della popolazione: nelle liste elettorali ci sono ancora persone di 80-90 anni che non vanno più a votare perché non ce la fanno più. Inoltre bisogna considerare il dato dell’astensionismo dei fuori sede: ci sono tantissimi giovani che studiano lontano dalla loro città, stiamo parlando di 4-5 milioni di persone. È un astensionismo fisiologico, dovuto al fatto che non c’è la possibilità di un voto telematico o che non si può esercitare il diritto al voto nella sede di domicilio e non in quella di residenza. Stiamo parlando di una quota consistente degli italiani, che può oscillare intorno al 20%.

Bisogna calcolare diversamente la quota degli astenuti?

Se a questo 20% (anziani e fuorisede) aggiungiamo un 10% di astensionismo “incancrenito”, di persone che non hanno mai votato, vediamo che l’astensionismo “vero” si riduce al 20%: la somma dà il 50% di astensione circa delle ultime elezioni, cui si aggiunge nei referendum un 20% di chi è disilluso, disinteressato perché non comprende.

Come cambia il giudizio secondo le classi sociali?

Il tema della rabbia tocca più i ceti popolari (32%) che il ceto medio (16%). Il giudizio per cui la politica è tutta sporca è condiviso dal 45% delle persone nei ceti popolari e dal 19% del ceto medio. Chi pensa, invece, che la vittoria dell’uno o dell’altro non cambi niente rappresenta il 20% del ceto medio e il 31% dei ceti popolari, nei quali, evidentemente, la disillusione nei confronti della politica è più marcata.

(Paolo Rossetti)

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