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Home » Chiesa » CHIESA/ Curia e Sinodo, ecco le riforme che attendono l’ispirazione di Leone XIV

  • Chiesa
  • Papa

CHIESA/ Curia e Sinodo, ecco le riforme che attendono l’ispirazione di Leone XIV

Nel contesto della recezione del Vaticano II rilanciata dal Papa va posta, innanzitutto, la questione della Curia. Poi quella del Sinodo

Romeo Astorri
Pubblicato 19 Maggio 2025
Cardinali in Vaticano

I Cardinali in Vaticano (ANSA-EPA 2025)

Nel suo discorso ai cardinali del 10 maggio, Leone XIV ha chiesto di rinnovare “la piena adesione alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II”. Secondo il nuovo papa, tale via ha un riferimento concreto nella prima esortazione apostolica di papa Francesco, la Evangelii gaudium. Nella stessa occasione, il pontefice ha affermato che “proprio sentendomi chiamato a proseguire in questa scia, ho pensato di prendere il nome di Leone XIV, principalmente perché il Papa Leone XIII, con la storica Enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”.


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Senza volere enfatizzare queste prime parole, va colto, tuttavia, almeno a mio parere, il desiderio di collocare l’inizio del suo pontificato nella continuità con il Vaticano II e nel confronto con le sfide che la società del XXI secolo sta ponendo alla Chiesa e ai cristiani.

Trova così un suo contesto il richiamo alle istanze fondamentali che Leone XIV riprende da Evangelii gaudium: il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio, la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana, la crescita nella collegialità e nella sinodalità, l’attenzione al sensus fidei, specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare, la cura amorevole degli ultimi, degli scartati, il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà.


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Si pone, cioè, il problema della recezione del Vaticano II proprio come nella Chiesa si era posta la sfida del Concilio di Trento, recepito, secondo gli storici, grazie alla fondamentale opera di san Carlo Borromeo, e quella del Vaticano I, per il cui accoglimento, sempre secondo gli storici, sono stati fondamentali il codice di diritto canonico del 1917 e i concordati firmati da Pio XI negli anni del primo dopoguerra.

Come introduzione a queste righe mi pare essenziale riprodurre il can. 1752, l’ultimo del codice di diritto canonico latino, che si conclude con l’esortazione ad avere sempre presente che “In Ecclesia salus animarum suprema semper lex esse debet”, un’esortazione che vale anche per chiunque voglia intervenire con proposte che riguardino l’ordinamento canonico.


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Nel contesto della recezione del Vaticano II va posta, innanzitutto, la questione della Curia, per la quale ritengo sia da approvare quanto prima il nuovo regolamento di attuazione della Riforma del 2022. Senza di ciò, risulterebbe difficile ogni intervento correttivo che si volesse introdurre per correggere eventuali inconvenienti o disfunzioni o per approvare miglioramenti, per ottenere quel maggior coordinamento tra i vari dicasteri che appare necessario, così come per quei risparmi richiesti dalle difficoltà di bilancio emerse durante le congregazioni cardinalizie che hanno preceduto il Conclave.

Più complesso delineare quale funzione abbia, in questo contesto, il Sinodo dei vescovi, visto come strumento per una migliore attuazione della sinodalità, intesa anch’essa come elemento essenziale di recezione del Concilio. In termini generali, vorrei rilevare che con la Costituzione apostolica Episcopalis communio del 2018 si è data al Sinodo una nuova disciplina che lo ha reso, per così dire, molto autoreferenziale. Essa ha previsto una fase preparatoria di consultazione del popolo di Dio sul tema scelto e una fase di attuazione che vede la Segreteria permanente con l’ausilio di una Commissione per l’attuazione, dipendente sempre dalla Segreteria, incaricata della promozione degli orientamenti sinodali di cui si farebbero carico le chiese locali.

Si deve tenere presente che sino a Episcopalis communio il documento finale era dato da un’esortazione apostolica pontificia, che faceva propri gli orientamenti sinodali, e la cui attuazione era affidata, in genere, ai dicasteri competenti.

Non aiuta a cancellare questa immagine di autoreferenzialità neanche quanto la nuova costituzione stabilisce in ordine al documento finale del Sinodo e alle varie procedure per l’approvazione, che parrebbero funzionali a salvaguardare il Sinodo piuttosto che il principio della “stretta unione” con il Romano Pontefice. Forse un approfondimento del suo carattere strumentale aiuterebbe a collocarlo meglio nel panorama degli organi di governo della suprema autorità della Chiesa.

Un ulteriore organismo su cui aprire una riflessione dovrebbe essere, a mio parere, il collegio cardinalizio, che è definito peculiare dal can. 349 del codice canonico, e il cui compito è indicato nel provvedere all’elezione del pontefice e nell’assisterlo sia collegialmente che come singoli. A completare quanto affermato nel codice potrebbero essere guardate le disposizioni di vari pontefici che regolano la sede vacante nelle quali il collegio cardinalizio è considerato come sufficientemente espressivo, anche nelle attuali contingenze storiche, della dimensione universale della Chiesa.

Alla luce dell’impegno per la sinodalità credo che debbano essere riconsiderati quegli organismi che l’Esortazione apostolica post sinodale del 2003, Pastores gregis, al capitolo sesto, e il Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi Apostolorum Successores del 2004 racchiudono un po’ genericamente sotto il capitolo Cooperazione episcopale e Organi sovradiocesani di collaborazione, vale a dire i concili particolari, provinciali o plenari e, soprattutto, le conferenze episcopali. Non si tratta tanto di modificare le disposizioni oggi vigenti, quanto di verificare in quali casi le competenze assegnate possono essere aperte, e in che misura, ad una partecipazione dei fedeli.

Tutto questo potrebbe anche comportare una riflessione approfondita sulla natura della potestas della Chiesa, non solo auspicabile, ma anche necessaria, perché la risposta alle pressioni delle quali è oggetto la Chiesa non sia debitrice di posizioni che non tengono adeguatamente in conto la sua natura, assimilandone il governo a quello delle istituzioni secolari.

Un ultimo aspetto da guardare, forse poco noto, ma non meno rilevante per il futuro della Chiesa è quello di un intervento per diradare la confusione crescente tra Chiesa, Santa Sede e Stato Città del Vaticano, della quale è una testimonianza plateale l’infortunio che ha portato il legislatore, nel Preambolo della legge fondamentale del 2023, ad ascrivere al munus petrino i poteri del pontefice sullo Stato Città del Vaticano.

L’adesione della Santa Sede a numerosi accordi multilaterali (se ne contano ad oggi quasi 150) in nome proprio o per conto dello Stato Città del Vaticano rischia di creare, anche a causa dell’evoluzione intervenuta nel diritto internazionale dopo il 1929, una serie di equivoci, come hanno dimostrato – solo per citarne alcune – i giudizi cui essa è stata sottoposta dagli organi di controllo dell’applicazione dei vari trattati cui ha aderito. Una maggiore chiarezza potrebbe servire ad evitare l’ulteriore insorgere di equivoci sgradevoli.

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Tags: Papa Leone XiVPapa Francesco

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