Con una certa dose di scetticismo e saccenteria, Lucetta Scaraffia sul Foglio del 17 maggio descrive l’“ubriacatura” cristiano-cattolica a cui avremmo assistito nel recente periodo, in occasione della morte di papa Francesco e dell’elezione di Leone. Così scrive: “Quello che piaceva veramente, di questi eventi, era la ritualità antica, i costumi rinascimentali, il segreto. Cioè la superficie, non il cuore della religione. Cosa resterà di questa apparente conversione del mondo al cattolicesimo, alla quale, se dobbiamo credere ai riassunti dei temi trattati nelle congregazioni, hanno creduto perfino i cardinali? Niente, un pugno di mosche”.
Don Luigi Giussani, parlando ad un gruppo di ragazzi, disse che, mentre nell’anziano il sangue fa coaguli, l’esser giovane corrisponde al sentire l’esigenza di uno scopo, di un ideale per vivere che scorra libero nelle vene e di seguirlo: “davanti a chi è premuto dentro da una gioia ed è tutto proteso, di fronte a chi è vivo, il vecchio fa: ‘Eh, poi imparerai, vedrai, vedrai la vita’. Nel vecchio non c’è più niente di sicuro, è freddo. Le vene, il sangue non sono più caldi come prima. E il vecchio non ha più presa con la vita. Copre allora questo disinteresse per la vita con la scetticità. Ah, se si potesse farla a pugni con chi introduce i giovani allo scetticismo. Sarebbe l’ideale, è l’unico modo per discutere con chi è scettico. Non si può, ci mancherebbe altro, ma se si potesse…”.
La Scaraffia non va a fondo del suo ragionamento. Anche se fosse vero, come lei scrive, che ciò che ha attirato tanta gente a Roma siano i “costumi rinascimentali, la ritualità, il segreto”, non si chiede il perché la gente provi fascino per “il segreto”, il mistero.
La gente non è tanto stupida o così folle da ammassarsi come pecore per una “mascherata”. Ogni persona ha infatti in sé un’esigenza di infinito e di felicità totale irriducibile e inestirpabile che si ridesta, si risveglia quando incontra qualcosa che sia al livello della sua ampiezza e grandezza.
Cosa resta di tutto l’apparato, le folle, le televisioni? Non “un pugno di mosche”, come direbbe appunto chi ha uno sguardo che si ferma solo alle apparenze (uso lo stesso termine della Scaraffia), bensì l’evidenza di quell’impeto ideale, di quel bisogno di felicità e di destino che spinge ogni persona. Evidenza incancellabile e testimonianza di una Presenza misteriosa che da quei riti, come scrive la giornalista, è accennata e indicata.
Perché quella gente in piazza era felice? Non aveva nessun riscontro concreto da quegli eventi, non aveva nessun tornaconto. Perché aveva visto in quegli uomini (papa Francesco, papa Leone) e in quel luogo (la Chiesa), una risposta, una strada, una possibilità a quelle profonde esigenze.
La Scaraffia conclude il suo articolo tornando tristemente ai soliti schemi: papi conservatori e papi progressisti. Sembra mancare la curiosità giovane e fresca dell’Innominato dei Promessi sposi che, vedendo tanta gente andare nella stessa direzione con grande trasporto, si chiese cosa stesse accadendo di allegro in quel “maledetto paese”. E poi, come un cuore giovane e umile, rifletté: “Per un uomo! Tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! E però ognuno di costoro avrà il suo diavolo che lo tormenti. Ma nessuno, nessuno n’avrà uno come il mio; nessuno avrà passata una notte come la mia! Cos’ha quell’uomo, per render tanta gente allegra? Qualche soldo che distribuirà così alla ventura… Ma costoro non vanno tutti per l’elemosina. Ebbene, qualche segno nell’aria, qualche parola… Oh se le avesse per me le parole che possono consolare! se…! Perché non vado anch’io? Perché no?… Anderò, anderò; e gli voglio parlare: a quattr’occhi gli voglio parlare. Cosa gli dirò? Ebbene, quello che, quello che… Sentirò cosa sa dir lui, quest’uomo!”.
La Scaraffia non si pone queste domande. Lei già lo sa cos’è accaduto. Lei ha capito tutto.
Come comprenderebbero davvero gli eventi, quegli intellettuali, quei giornalisti e opinionisti che rimangono a guardare le cose dai loro balconi altissimi e inaccessibili come i loro pensieri, se invece scendessero in basso, tra la gente, per vedere cosa c’è là sotto per loro, come quei fatti parlino anche al loro cuore, invitandoli ad accettare la sfida.
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