“La riflessione e le soluzioni che Julián Carrón indica, davanti a uno dei bivi fondamentali della storia dell’umanità, offrono un grande contributo, a credenti, non credenti e pure a molte comunità di altre fedi. Oggi siamo in presenza di una perdita valoriale dell’umana pietà. E invece abbiamo bisogno di misericordia, di persone e luoghi che sappiano testimoniare, con limpidezza e autorevolezza, che non si può cedere a una situazione di questo tipo”. Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, in viaggio tra Stati Uniti e Messico, accetta volentieri di leggere e commentare l’intervista che don Julián Carrón ha concesso al Corriere della Sera sui temi dell’immigrazione e dei nazionalismi. A tal proposito, Petrini aggiunge subito: “Vedendo come in questo momento paghi di più, anche in politica, giocare sul fronte degli interessi particolari rispetto alle sofferenze di un’umanità dolente, parlare, come sottolinea appunto Carrón, di crisi antropologica più che politica ed economica, è senza dubbio una riflessione profonda e anche, in qualche misura, un cambiamento antropologico”.
In che senso?
Nel senso che questo atteggiamento che tende a privilegiare gli interessi particolari non è più limitato a poche persone, divisive, ma è molto diffuso. Per cui mai come in questo momento è importante la testimonianza di chi non può cedere davanti a tutto questo.
A causa di questa chiusura negli interessi particolari, secondo lei, gli italiani stanno diventando più egoisti e rancorosi, come ha notato l’ultimo rapporto del Censis?
Un certo atteggiamento negativo è determinato anche dal fatto che buona parte degli italiani si trova da tempo in una situazione di sofferenza, ma mettere tutto in un calderone unico alla fine fa il gioco di chi vorrebbe creare, e sta creando, un antagonismo tra poveri. In realtà, non penso che questo mutamento sia così radicale e profondo, anche perché la realtà italiana è caratterizzata da una moltitudine enorme di persone che dedicano parte della loro vita al volontariato, all’assistenza, all’attenzione verso i più deboli. Insomma, è una situazione ricca di contraddizioni: in questo momento c’è sì questa forte spinta di tipo egoistico, ma contemporaneamente abbiamo una società civile che per storia e tradizione è sempre stata misericordiosa, non rancorosa.
Mario Barcellona, commentando sul Sussidiario l’intervista di Carrón, sottolinea come oggi la solidarietà sia vista come un onere. La solidarietà è davvero uno spreco, non è più una risorsa?
La solidarietà è un’enorme risorsa, politica e anche etica. Da questo punto di vista forse è giunto il tempo per questa moltitudine di realtà misericordiose di fare più rete, di non pensare solo al proprio orticello, superando anche vecchie divisioni.
Quali?
Ne ricordo una su tutte: credenti e non credenti.
In che modo?
Questa divisione non regge più davanti all’esigenza e al desiderio che tutti avvertiamo di una società che ha bisogno di più amorevolezza. Dividersi in tante piccole realtà e non capire che invece siamo tutti parte di un sistema indebolisce il fronte. E’ il momento che la solidarietà, questa bellissima realtà italiana, faccia rete.
Oggi, però, sembra difficile fare rete. Perché si preferisce parlare di muri piuttosto che costruire ponti?
E’ sempre stato così, ma in realtà i muri poi non si costruiscono. C’è l’esempio lampante, visivo, della politica di Trump, che sperimento direttamente in questo viaggio proprio tra Stati Uniti e Messico. Quel muro al confine non ci sarà mai. E’ vero, paga politicamente paventare queste soluzioni, ma non sono soluzioni e non diventeranno realtà, perché la realtà è molto più complessa.
Carrón dice che c’è una “riduzione dello sguardo che impedisce di cogliere l’umano”. Lo vediamo soprattutto sul fenomeno dell’immigrazione, ma non solo, dove vince la paura. Come uscirne?
Non c’è dubbio che mancano grandi esempi di pedagogia politica e spirituale. Se penso che in questa temperie, nel panorama internazionale, splende la figura di Papa Francesco, mentre tutt’attorno, in ogni parte del mondo, vedo purtroppo una moltitudine di soggetti politici che con uno sguardo, assai preoccupante, di piccolo cabotaggio giocano su queste paure, tutto ciò sta a dire quanto sia immensa la necessità di avere figure che siano in qualche misura esempio, avanguardia. Io spero che nella politica e nelle realtà spirituali crescano figure così, con la schiena dritta e con le idee chiare come Papa Francesco. Il buon esempio e le indicazioni che possono dare figure autorevoli e prestigiose avranno poi una ricaduta nelle società civili. E’ evidente che il passaggio della Laudato si’ in cui Francesco dice che la politica pensa solo alle elezioni più vicine, fa capire che non ci può essere una forte idealità se si ha solo una visione di corto raggio. Servono visioni di più ampio respiro e ci vogliono figure che sappiano reagire al malpancismo.
E’ un problema soprattutto di educazione dell’umano?
Non c’è dubbio. C’è un bisogno enorme di rafforzare valori come la pietas, la misericordia, la comprensione, il dialogo. Se non si mettono assieme, alla fine ne viene fuori una forma di impoverimento dell’umano enorme. Non è solo il fatto che uno non guarda più la miseria, le difficoltà degli altri, è il fatto che non li stiamo più neanche ad ascoltare e questo è l’elemento drammatico: l’incapacità di ascolto, di dialogo, di costruire ponti e di rafforzare una visione ideale. Abbiamo bisogno di una nuova fase, di tornare a ricostruire un umanesimo. Abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo.
Populismi e sovranismi sono risposte sbagliate alla globalizzazione?
Non sono risposte, più che altro, perché il processo della globalizzazione è molto più complesso. Questi atteggiamenti non risolvono il problema, semplicemente lo spostano. Siamo in presenza di una realtà che l’umanità non ha mai vissuto in forme così potenti e c’è dunque bisogno di fermarsi, di riflettere, di pensare a quali possono essere gli elementi distintivi di un nuovo umanesimo che davanti alla globalizzazione sappia dare risposte di convivenza civile e di realizzazione umana. Quelli che oggi si ergono a difensori di queste politiche sovraniste e populiste, magari un domani potranno anche esserne vittime.
Secondo Carrón, “il contributo dei cristiani è generare uomini e donne che non hanno paura, in grado di creare luoghi capaci di accogliere e integrare”. Una sfida coraggiosa in questa temperie culturale?
E’ l’unica sfida possibile. Aggiungo, e lo dico come agnostico: non c’è dubbio che questa dimensione spirituale debba essere patrimonio non solo dei credenti, ma di tutti. Tutte le realtà che hanno a cuore una società giusta e civile devono lavorare su questo fronte. E l’unione, il superamento delle divisioni è l’elemento distintivo. C’è bisogno di avere esempi di persone con la schiena dritta che, senza protervia e senza alcuna pretesa di avere la verità in tasca, siano di esempio e di sprone, senza cedere davanti alle prime difficoltà, alle prime obiezioni. Bisogna moltiplicare questi esempi, questi luoghi. Carrón vede tutto questo come testimonianza cristiana, alla base del Vangelo di Cristo.
E per chi comunque non ha una visione strettamente religiosa?
Deve comunque avere e fare i conti con questa dimensione spirituale.
Nell’intervista Carrón cita l’esempio del bimbo che vince la paura del buio solo grazie alla presenza della mamma. Quali sono le sue paure e le sue presenze in grado di superarle?
Io vedo una presenza fortissima in questa rete di persone che in ogni angolo del mondo testimoniano umilmente un modo diverso di essere di fronte alla realtà. Per me è il più fulgido esempio che mi dà certezze. E poi ci sono alcune figure nella storia e nella vita civile che sono più imponenti e distintive. Penso – lo ripeto – a Papa Francesco, che è qualcosa di radicalmente diverso rispetto al panorama della politica mondiale. La presenza, la “madre”, la forza, uno deve trovarla in quegli uomini che, malgrado questa situazione, sanno tenere la barra giusta. E non ne mancano.
(Marco Biscella)