Non si sa in realtà se lo scandalo è per aver abusato del “sacro” motto della Repubblica francese «Liberté, Égalité, Fraternité» o per il bel fondoschiena femminile usato per lo scatto pubblicitario. Lo slogan della pubblicità dei nuovi jeans della marca Le Temps des Cerises dice infatti «Liberté, Égalité, Beau Fessier» che non è il massimo dell’eleganza, visto appunto che riprende le basi della costituzione dello stato. Un po’ come se una azienda italiana usasse come slogan pubblicitario “Fratelli d’Italia, l’Italia ha un bel fondo schiena”. Sembra però che a far scoppiare la richiesta di ritirare la pubblicità siano state le donne, infuriate per il carattere “sessista” della pubblicità in questione. Utenti scatenati sui social network contro l’azienda, utenti donne ovviamente. E’ vero che viviamo in un’epoca a base di MeToo, dove per un nonnulla si rischia l’accusa di maschilismo e violenza, ed è vero che la pubblicità non è come dicevamo il massimo dell’eleganza, ma di pubblicità si tratta e un paio di jeans che mettono in vista le belle forme del corpo significa che il jeans è di ottima fattura. Insomma, che altro far vedere? Decidere quale inquadratura scegliere per trasmettere un messaggio visivo è infatti una scelta fondamentale ai fini della efficace comunicazione. Chi è cresciuto negli anni 70 ricorderà una pubblicità (del solito Oliviero Toscani, sempre a caccia di provocazioni anche quando era di giovane età e che sulle provocazioni ha costruito la sua celebrità) sempre di un paio di jeans, con un lato B di una ragazza ben più in primo piano di quello francese e soprattutto in mini short. Una immagine al limite del pornografico. E dire che proprio negli anni 70 nasceva il movimento femminista italiano. Ma non ci furono proteste da parte delle donne. Furono Michael Goettsche e Emanuele Pirella a dare quel tocco in più di pessimo gusto che fece scoppiare le proteste della Chiesa, lo slogan “Chi mi ama mi segua” preso da una frase di Gesù dei Vangeli anche se storpiata all’uso (“Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (dal Vangelo secondo Matteo, 16, 24, CEI; confronta anche Mc 8, 34, Lc 9, 23 e Gv 12, 26). Fu coniato anche un secondo slogan, “non avrai altro jeans all’infuori di me”. Questo venne usata per una immagine frontale della foto, con i bottoni sbottonati quasi fino ai peli pubici della modella.
LA DIFESA DI PASOLINI
Ma non finiva neanche qui: la marca dei jeans si chiamava infatti Jesus e si completava il cerchio di quella che si poteva definire blasfemia, insulto alle credenze religiose di tutti i cristiani. Era ovviamente una pubblicità volutamente trasgressiva. Il clima era quello degli anni 70, di rivoluzione in tutti i sensi, e cosa di più facile da colpire che la Chiesa? Come sparare sulla Croce Rossa, si direbbe oggi. Se ne occupò anche un personaggio di prestigio, Pier Paolo Pasolini, che da non credente, ma da uomo di profonda intelligenza e di rispetto per il prossimo, sul Corriere della Sera scrisse che l’Italia “tappezzata di manifesti rappresentanti sederi con la scritta «chi mi ama mi segua»” dicendo “tra l’«Jesus» del Vaticano e l’«Jesus» dei blue-jeans, c’è stata una lotta. […] Il Gesù del Vaticano ha perso”. Ma non aveva perso solo il Gesù del Vaticano. Pasolini aveva sempre combattuto con forza la trasformazione del paese da mondo contadino, semplice, ricco di valori educativi, contro quell’enorme deserto umano e culturale che stava diventando l’Italia sotto l’influsso del capitalismo di massa, le cattedrali nei deserti dei centri commerciali, l’annullamento delle coscienze in una amnesia di massa, che produceva zombie invece che esseri umani. Per Pasolini il capitalismo aveva realizzato un’omologazione della cultura, inglobando tutte le culture subalterne o alternative; nel farlo, aveva omologato anche il linguaggio, che secondo Pasolini era fortemente comunicativo (e non espressivo). Con le sue parole in difesa del Gesù del Vaticano, Pasolini confermava di voler difendere il mondo dei valori contro quello dei cervelli all’ammasso, che fu il solo risultato della trasgressione di quella pubblicità, irridendo qualcosa di caro a milioni di italiani e facendone dimenticare il significato vero ai giovani di allora. Ci furono polemiche, ma la pubblicità non fu ritirata, segno che la Chiesa ormai contava poco più che niente. Anzi i jeans Jesus rimase in produzione fino al 1994, quando l’azienda madre dichiarò fallimento. Tra l’altro, erano anche brutti, altro che Levi’s e Wrangler.