Mentre l’Unione Europea smantella le catene di montaggio delle auto termiche in nome del Green Deal, la Cina sorprende tutti con motori a benzina e ibridi: dati del primo trimestre 2024 rivelano che le immatricolazioni di auto cinesi in Europa hanno raggiunto il record di 150.000 unità, ma solo il 30% è elettrico, le rimanenti sono ibride con motore a scoppio, prodotti in serie da aziende come BYD e Geely pronte a colonizzare il vuoto lasciato dai costruttori europei in ritirata, dunque in Europa si chiudono le fabbriche per salvare il pianeta mentre Pechino inonda il mercato con auto a benzina che inquinano ma costano meno.
Il Green Deal europeo – che impone lo stop alla vendita di auto termiche entro il 2035 – sembra aver aperto un varco strategico per la Cina, responsabile del 33% delle emissioni globali e mentre Bruxelles scommette sull’elettrico, le auto ibride cinesi – più economiche e senza i limiti d’autonomia delle rivali a batteria – conquistano famiglie e pendolari, una scelta dettata anche dalla carenza di infrastrutture: con appena 500.000 colonnine di ricarica in tutta Europa – perlopiù concentrate in Germania e Francia – l’auto elettrica rimane un lusso per chi ha un garage privato.
Intanto Pechino sorride: le sue fabbriche – alimentate a carbone – continuano a produrre motori tradizionali per un Occidente che si crede virtuoso e invece spalanca la porta al ritorno del motore a scoppio.
Cina e la strategia degli ibridi: Xi Jinping sfrutta i dazi per dominare il mercato
La risposta della Cina alle tariffe doganali del 38% sulle auto elettriche è stata fruttuosa nella sua cinica efficacia ovvero puntare sugli ibridi (esenti da dazi) e inondare l’Europa di veicoli che Bruxelles vorrebbe bandire entro un decennio; mentre Volkswagen e Stellantis arrancano nel riconvertire gli impianti produttivi, i colossi cinesi sfruttano una rete industriale flessibile – sovvenzionata dallo Stato – e capace di passare dall’elettrico al termico in poche settimane.
E mentre l’Unione Europea cerca di copiare la transizione industriale cinese – con Pechino che punta a raggiungere il 40% di auto elettriche entro il 2030 – le case automobilistiche asiatiche si impadroniscono della fascia produttiva che l’Europa sta abbandonando senza difenderla, così – tra ritardi tecnologici e visioni ambientali disallineate – l’Europa rischia di perdere anche l’ultimo baluardo manifatturiero dopo aver già ceduto il fotovoltaico e gran parte dell’elettronica.
Ursula Von der Leyen – che solo un anno fa celebrava in modo trionfale il piano d’incentivi all’elettrico – oggi si trova a dover gestire le macerie di una politica industriale incoerente, mentre la Cina intasca i frutti di una transizione verde incompleta.