UN GIORNO DELLA VITA/ Una piccola favola sui sogni e le speranze capaci di dividere
L’opera prima di Giuseppe Papasso, spiega MATTEO ZINANNI, è una favola che parla di sogni e di speranze nella provincia lucana del 1964

L’opera prima di Giuseppe Papasso è una favola che parla di sogni e di speranze nella provincia lucana del 1964. Si intrecciano tre storie, una principale pervasa dalla passione per il cinema del protagonista (Salvatore) e due secondarie che fanno da contorno e sostegno alla vicenda (la passione sentimentale e proibita di Aurelio, militante comunista e quella politica del padre di Salvatore, Pietro).
Il film inizia con il dialogo, in una sala d’aspetto del riformatorio di Matera, tra Salvatore e un giornalista che è incuriosito dalla sua storia personale. Il protagonista ritorna cosi mentalmente a cinque mesi prima, dove era semplicemente un bambino spensierato con la passione per il cinema tanto da raggiungere ogni giorno in bicicletta, insieme agli amici Alessio e Caterina, il paese vicino al suo per poter vedere dei film. I suoi sogni però sono contrapposti a quelli del padre che li critica aspramente, seppur egli sia a sua volta un sognatore che spera nella rivoluzione comunista.
L’equilibrio instabile tra i personaggi si spezza a causa di due avvenimenti. Uno di livello nazionale, la morte di Palmiro Togliatti, il secondo più intimo con la scoperta di un annuncio per la vendita di un proiettore. Gli aderenti al partito decidono di partire per Roma in modo da omaggiare degnamente il compagno al funerale, nonostante i loro scarsi fondi economici.
I soldi vengono raccolti tramite una colletta e la consistente somma viene nascosta nella sede del partito. Salvatore, da poco iscritto, decide di rubare i soldi per realizzare il suo sogno cinematografico. Il giorno dopo il protagonista compra il proiettore e insieme al parroco del paese riesce a dar vita a un cinema, ma dall’altra viene annullato il viaggio a Roma e si inizia subito a cercare il ladro.
Da qui in poi tutto precipita. Aurelio viene accusato di essere il ladro perché è stato visto entrare nella sede la sera del furto, poi scagionato dalla madre di Caterina che perde marito, reputazione e figlia per adulterio. Salvatore, decide di confessare. Il padre imbestialito per il tradimento lo picchia, lo umilia davanti a tutto il paese e infine lo spedisce in riformatorio. Il lieto fine, nonostante tutto, è dietro l’angolo grazie all’ intervento del giornalista.
(Matteo Zinanni)
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