Dopo il successo inaspettato de La ragazza del lago (dieci David di Donatello e circa due milioni dincasso), Andrea Molaioli si confronta con ladagio secondo il quale lopera seconda sia uno scoglio difficile da superare. E il regista si complica la vita affrontando a viso aperto lattualità e la cronaca italiana: il risultato è un film civile intenso, anche migliore del suo predecessore.
La Leda è unimportante e redditizia industria alimentare, gestita dal ragioniere Botta più che dal presidente Rastelli; ma la spregiudicatezza dei suoi dirigenti nasconde un gioco criminale e una fragilità finanziaria pericolosa. Una sorta di noir finanziario, ma anche dramma civile à la Rosi e figlio del cinema anni 70, scritto da Molaioli con Ludovica Rampoldi e Gabriele Romagnoli, romanzando, nemmeno troppo (cambiano i nomi e resta in sospeso la città, che comunque è Torino grazie ai finanziamenti della relativa film commission), il crack della Parmalat.
Il film ricostruisce uno degli scandali economici più devastanti della storia patria attraverso i personaggi e il loro rapporto con la città e la nazione, col calcio e la politica, indicando il territorio come humus in cui far nascere la mentalità di un Paese, puntando esplicitamente il dito contro il corto respiro imprenditoriale che, grazie a finanze creative e truffe legalizzate, ha distrutto leconomia nostrana col beneplacito della classe dirigente.
Molaioli realizza un film efficace ed elegante, fotografato con molte ombre da Luca Bigazzi, che stringe il proprio ritmo e la tensione del thriller mentre la struttura coi minuti si allarga a una sorta di puntigliosa coralità: da Botta, dalla sua pignola solitudine, il film apre prima al suo rapporto con Rastelli fino a coinvolgere poco a poco anche i dirigenti e i personaggi di secondo piano dellazienda, come a restituire il dilagare epidemico di un malcostume prima morale che finanziario, che si può pagare anche con la vita.
Gli sceneggiatori sono abili a gestire con ironia le informazioni, la suspense, i personaggi che Molaioli racconta con finezza, movimenti di macchina sapienti, usando con efficacia le musiche di Teho Teardo e il montagigo di Giogiò Franchini. Ma non solo: Molaioli sa controllare l’istrionismo di Toni Servillo, tenuto saggiamente a briglia corta, e non si fa mangiare il film – come successo per esempio a Incerti con Gorbaciof – permettendo a una Sarah Felberbaum sorprendente (nel film Laura Aliprandi) di giocare col suo charme.
Parafrasando De Gregori, è anche da questi particolari che si giudica un buon regista; e se il botteghino non pare aver premiato lo sforzo è chiaro che i premi potrebbero essere un buon risarcimento.