BATMAN/ Legoismo buono dietro alleroico Cavaliere oscuro

- Edoardo Rialti, int. Edoardo Rialti

EDOARDO RIALTI ci parla dellultimo film di Christopher Nolan che conclude la trilogia su Batman: Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno. Unanalisi profonda sui personaggi

EDOARDO RIALTI ci parla dellultimo film di Christopher Nolan che conclude la trilogia su Batman: Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno. Unanalisi profonda sui personaggi

Quella che segue è una recensione scritta da chi di cinema è soltanto un appassionato, e dalle preferenze vaste: uno che ancora rimpiange il mancato adattamento di Proust da parte di Visconti e Marlon Brando, ma che non considera affatto il grande intrattenimento popolare un genere più basso o superficiale, anzi. Come notava C. S. Lewis, è una delle tristi conseguenze del nostro tempo la diffusa e snobistica vulgata che il grande artista debba essere elitario, visto che Omero, Dante, Shakespeare, Mozart erano goduti dai re e dai popolani, che ne erano intrattenuti ed edificati perché, come scrisse, Chesterton, le cattive opere darte hanno una morale, mentre quelle buone sono una morale, non hanno il problema di convincere, ma quello molto più forte e radicale di comunicare unesperienza con la quale fare i conti.

E lultimo film di Christopher Nolan (Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno), la conclusione della sua wagneriana trilogia su Batman, è davvero una gran bella storia, inerentemente morale, appunto, e con molto da dire su questo nostro tempo. Vi si narra in effetti come lultimo, grande discrimine tra il bene e il male passi da una riscoperta affezione a sé, e quanta strada talvolta occorra a un uomo per volersi bene davvero.

Il Batman-Bruce Wayne di questultimo film ci viene infatti immediatamente presentato come marchiato, azzoppato senza alcuna speranza da due bugie: quella collettiva per cui si è addossato i crimini di un altro, così da non scandalizzare la città nella sua esigenza di una giustizia dalle mani pulite, e quella personale, che lo ha inchiodato a un ipotetico futuro che in effetti non si sarebbe mai realizzato. La maschera di Batman, il ruolo di giustiziere, sono diventati un gabbia, una prigione dalla quale Wayne aspira – più o meno inconsciamente – a liberarsi solo con la morte, con un ultimo devastante sacrificio.

ciò da cui lo mette in guardia il fedele Alfred, che invece continua a desiderare per lui altro, e di più: Lei vede una sola conclusione per il suo viaggio. Per questo, paradossalmente, il fatto che Batman non tema la morte, cioè non ami la vita, ne costituisce la maggiore, segreta debolezza, e anche ciò che lo accomuna a quello specchio distorto ed estremo rappresentato dai suoi avversari, Bane e Talia al Ghul, che da tale indifferenza per sé stessi hanno tratto invece la loro forza. Se difatti il Joker del secondo film si presentava come un dionisiaco agente del caos, un cane rabbioso che non ha piani se non coinvolgere il mondo nella sua divorante follia, i terroristi dellultimo film incarnano un diverso tipo di oscurità, quella per cui, significativamente, non importa chi siamo, importa solo il nostro piano. E nella sua apparizione, incappucciato come i prigionieri di Guantanamo, Bane sibila: Non importavo a nessuno finché non ho messo la maschera. Una frase che potrebbe sinistramente applicarsi anche a Bruce Wayne.

Bane deve continuamente respirare una droga che “tiene a bada il dolore”, ma in fondo il narcotico più potente, quello che gli consente di gettarsi contro tutto e tutti, come una macchina, è proprio questo culto della morte, questa ultima indifferenza verso di sé, che è in fondo il mare oscuro che circonda l’isoletta della rivoluzione sociale, con cui proprio Bane e la setta delle ombre illudono Gotham in attesa di farla diventare cenere, riproducendovi tutti gli elementi-base delle rivoluzioni: il linguaggio messianico che parodia persino il Magnificat – “i potenti verranno strappati dai loro opulenti nidi”-, i processi popolari, l’ebbrezza dei saccheggi, in nome di una giustizia che al fondo pareggia i conti facendo del mondo corrotto un grande cimitero.

E non è una conquista artistica di poco conto aver presentato tutta la colpevole manchevolezza di tanti avvocati, poliziotti corrotti, agenti della CIA, operatori finanziari, e al tempo stesso l’insensatezza cieca della violenza che si abbatte su di loro, per cui basta scorgere un anziano insanguinato con le braccia alzate o la foto infranta di una famiglia felice per rimettere a fuoco quello che sta succedendo. Non c’è alcuna esaltazione ideologica dei valori occidentali o cosiddetti conservatori, ma la capacità di raccontare tutte le storture e le incoerenze, senza per questo negare la perenne possibilità di agire per un ideale più grande di sé, come i poliziotti che corrono alla carica, perlopiù disarmati, contro il fuoco dell’esercito rivoluzionario di Bane, mentre una bandiera americana lacera e sudicia continua a ondeggiare al vento.

Anche nei malvagi è possibile intravedere questa complessità, per cui la prima molla vera e segreta anche dei due avversari di Batman, capaci di chiedere a sé stessi e ai propri estatici seguaci di suicidarsi in nome del “fuoco” con cui aspirano a incendiare e purificare, è stata un atto di amore. Così come una delle più belle intuizioni narrative è introdotta col personaggio di Selina-Catwoman, a sua volta convinta che il passato sia irredimibile e che in un mondo dominato dalla conoscenza sistematica e compulsiva di tutto su tutti, “non è possibile ricominciare”. Ma Bruce Wayne sa intravedere nella sua amarezza, e nella sua ricerca del programma “smacchiatore”, non una scappatoia, ma l’aspirazione a una vita nuova, per la quale è pronto ad aiutarla, senza alcuna indignazione moralistica sul cancellare la fedina penale di una ladra. È in fondo partecipe dello stesso atteggiamento politicamente scorretto per cui il cardinal Borromeo di Manzoni non ha mai il problema, a ben pensarci, di far arrestare l’Innominato, o quello per cui il Padre Brown di Chesterton non consegna il ladro di gioielli Flambeau alla polizia, ma lo prende come sua spalla nelle indagini.

Ma il vero punto di svolta sta nel momento in cui il protagonista decide a sua volta di non essere più determinato dal ruolo e dal destino che si immagina di dover portare avanti sino alle estreme conseguenze. Una scelta che non è espressa con un discorso esplicito, ma mostrata in un’azione: quella di aver inserito il pilota automatico, per cui la bomba può esplodere in mare senza per questo dover morire assieme a lei. È questa, in fondo, la grande vittoria sulla menzogna ideologica di Bane e Talia, l’affermazione del valore di ciò che è infinitamente più grande anche del ruolo di giustiziere e salvatore, ciò che conta persino più di Batman: quella cosa molto concreta che si chiama Bruce Wayne.

E che tutto questo non sia “detto”, ma “agito”, raccontato con il ritmo incalzante di una grande avventura è solo un valore aggiunto.





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