La sensazione che Killer Elite sia un film di cui potevamo fare a meno è molto forte. Nonostante sia tratto da un romanzo – a sua volta basato su una storia vera -, nonostante Robert De Niro e Clive Owen. Allinizio questa percezione è solo un presentimento. Da metà film in poi è una certezza. Quando gli inseguimenti iniziano a diventare troppi, i proiettili cascano come pioggia e si spera che quel colpo sia lultimo a essere esploso. Invece no. Ce ne sono ancora e ancora. Quasi fino allo sfinimento.
Le fazioni che si scontrano sono tre. Quella di Danny Brice (Jason Statham) e Hunter (Robert De Niro), killer di professione. Il primo, grande e grosso, ma dal cuore tenero. Al punto che decide di cambiar vita nel momento in cui punta la pistola sul volto di un bambino che non era stato calcolato sul luogo dellesecuzione di turno. Hunter, più ironico e distaccato, attirato sì, dallavventura e da uno strano senso del dovere, ma anche dal profumo dei soldi.
Cè, poi, la fazione numero due. Quella del Sultano dellOman, notevolmente indispettito da ciò che la vita gli ha riservato. Tre figli uccisi alcuni ex membri dei Sas e i colpevoli ancora impunemente in libertà. Anzi, in vita. Il Sultano vuole giustizia e rapisce Hunter per convincere Danny a uccidere per lui come forma di vendetta. Danny, che nel frattempo si è costruito una casa di legno e con lei una nuova vita, non ha scelta. Deve tornare, trovare i colpevoli, ucciderli e registrare la confessione.
Qui entra la terza squadra. Quella capitanata da Spike (Clive Owen), in testa ai Feather Men, ex Sas che coprono gli assassini dei figli del Sultano e che ora scendono in campo per difendere i loro compagni.
Gary McKendry, al suo primo lungometraggio, non ce la fa. Tenta di ricalcare le orme classiche del thriller dazione, ma si perde in un groviglio di surplus. Nella storia, che cerca di essere lineare, ma si contorce in un gioco di inseguimenti e vendette a spirale. Nellazione, che di solito in film dazione per definizione non disturba. Qui, invece, quando si capisce che la storia è morta – insieme a un sacco di altra gente – non si ha proprio voglia di continuare a guardare salti e tutto il corollario di circostanza. Perché limpressione è che servano per tenere in piedi una trama che non cè già più.
L’unico ambito in cui il regista non esagera è la psicologia dei personaggi. Più o meno giustamente, come le regole del genere dettano. Sarebbe bastato poco, uno sforzo in più, però, per farci affezionare a loro. A Danny, visto che è il protagonista. Alla sua amicizia con Hunter. E in fondo anche a Spike, che spunta quasi dal nulla attorniato da un’aurea di pretestuosa serietà.
Non c’è altro da aggiungere, purtroppo. Bocciato.