Le tasse sono l’anticristo del rock ‘n’ roll. In tempi di governo tecnico e di salva-Italia, la frase sembra di un cantante contemporaneo: invece la pronuncia Alec Baldwin in un ipotetico 1987 in Rock of Ages, il musical di Adam Shankman che rilancia sul grande schermo l’hard rock e l’heavy metal degli anni ’80 in modo trascinante e divertente, supplendo con il ritmo alla musica alle carenze del resto.
Protagonisti sono Sherry, ragazzina di provincia che si trasferisce a Hollywood per seguire il sogno di diventare una cantante rock, e Drew, barista in un locale di culto che condivide con la ragazza la passione per il canto. Sullo sfondo, oltre ai problemi del locale con i soldi e le campagne moralizzatrici della politica, Stacey Jaxx, una rock-star capricciosa che decide di fare il grande salto da solista e vuole celebrarlo proprio al locale in cui lavora Drew.
Scritto da Justin Theroux, Allan Loeb e Chris D’Arenzio dal musical teatrale di quest’ultimo, Rock of Ages (dal titolo di un album fondamentale dei Def Leppard) è la versione cantata e suonata in pratica di Footloose, di cui aggiorna il contesto agli anni ’80 e la musica al rock duro anziché ai modelli di Elvis e Jerry Lee Lewis.
E come nel musical degli anni ’80, si affrontano i buoni ossia coloro che vogliono divertirsi e amarsi senza alcun tipo di inibizione e i cattivi, cioè coloro che per interessi politici o religiosi cercano di frenare il divertimento, vero e unico valore messo in campo. Ma il cuore reale del film è nell’esaltazione del concerto, nella dimensione sacrale, a tratti mistica della performance dal vivo (non a caso, uno dei momenti migliori è in una chiesa, Hit Me with Your Best Shot) e dell’ideologia che la pervade e che rende il film simile per rapporto col pubblico e statuto filmico a un concerto.
Shankman non si risparmia anche l’ironia sul patinato mondo dei rocker di 30 anni fa, da Bon Jovi agli Europe e via dicendo, ma fatica per un po’ a entrare in sintonia col film, poco forte la traccia narrativa e troppo leziosi Diego Boneta e Julianne Hough, i due giovani interpreti: poi entra in scena Tom Cruise, tra parodia di Axl Rose e sudato magnetismo animale (come un album degli Scorpions), ruba la scena a tutti e trasforma il film in qualcosa di trascinante, come se fino a quel momento avesse suonato un volenteroso gruppo di spalla per poi lasciare la scena alla star del concerto.
Non a caso, rispetto ad altri musical contemporanei, sono le canzoni a dominare rispetto ai numeri musicali, pochi balletti, qualche mash-up (ossia fusione di 2 o più brani contemporaneamente) e soprattutto la voglia di suonare e cantare una musica non particolarmente raffinata, anzi, ma che sa veicolare passione e voglia di riscatto giovanile – e non solo – come poche altre. E allora spazio a classici come Paradise City, I Love Rock ‘n’ Roll, la strepitosa Don’t Stop Believin’, Wanted Dead or Alive (incredibile la performance di Cruise e una delle scene migliori del film) e Anyway You Want It. Inni più che semplici canzoni. E allora fa benissimo Shankman a non voler strafare, a tenersi quasi in disparte e a lasciare che la loro forza erompa sugli attori – tutti rigorosamente canterini – e poi sullo spettatore. Che uscirà dalla sala sudato e felice come dopo aver visto il proprio gruppo preferito suonare. Ammesso che a un concerto del genere si voglia entrare.