Se non servono a fare entrare un film nella storia del cinema, la cronaca e l’attualità di sicuro possono dare una mano a guadagnare un po’ di più nel box office. Ed è chiaro che un evento come le elezioni presidenziali del novembre 2012 attirino molta curiosità da parte dei media: a fare il punto sulla campagna elettorale e i suoi misfatti arriva Candidato a sorpresa, commedia diretta da Jay Roach (Ti presento i miei) che mette alla berlina i vizi più o meno inquietanti di una politica che si vorrebbe americana, ma che sembra più vicina a casa nostra di quanto non si vorrebbe ammettere.
Il film racconta la parabola di Cam Brady, deputato di lunghissimo corso che sta per essere rieletto senza nessun avversario; ma la sua debolezza politica porta due lobbisti a sostenere un nuovo candidato, l’ingenuo – per non dire di peggio – Marty Huggins: sarà una battaglia all’ultimo sangue, tra colpi bassi e scorrettezze di varia natura.
Commedia politica e popolare, sul filo della demenzialità televisiva del Saturday Night Live o di South Park, scritta da Chris Henchy, Shawn Harwell e Adam McKay, che racconta i complicati meccanismi democratici della politica Usa come se fosse uno di quei pezzi di satira che hanno fatto la fortuna dei grandi autori comici made in Usa.
Aperto da una citazione del candidato indipendente Ross Perot, “La guerra ha regola, la lotta nel fango ha regole. La politica non ha regole“, Candidato a sorpresa – il cui titolo originale The Campaign è più diretto – smonta e ridicolizza tutti gli ingranaggi che portano idioti qualunque al potere legislativo ed esecutivo: partendo dai meccanismi di potere economico che stanno dietro ai candidati, le lobby e gli spin-doctor, la manipolazione dei media e dell’elettorato, le dinamiche industriali, le parole vuote su cui creare consenso e le macchine del fango che lo tolgono, gli spot e i brogli elettorali, fino a una frecciata ben precisa contro la vendita del debito americano alla potenza cinese. Il tutto spingendo fin dove possibile il pedale della cattiveria e della scorrettezza con spot elettorali deliranti che prevedono adulteri in diretta e furti di figli.
Roach non fa distinzioni di sorta tra Democratici e Eepubblicani, con un filo di qualunquismo, ma non ha il tocco e lo spessore per portare il gioco alle estreme conseguenze e, forse anche per esigenze di produzione, è costretto a ripiegare su un tono à la Frank Capra di cui non possiede la forza cinematografica e la lucidità emotiva. Gli resta una discreta vis comica che lo porta ad architettare gag gustose come la violenza su cani e bimbi (un pugno in faccia a un neonato, sebbene digitale, non si era mai visto) o l’arresto di Brady visto da dentro l’auto della polizia.
Così, pure se il gioco non vale la candela fino in fondo, merita la visione anche per la divertita prova dei due attori, il collaudatissimo Will Ferrell e l’onnipresente Zach Galifianakis, che si divertono un sacco anche se il doppiaggio italiano livella tutto ad altezza sitcom (Pino Insegno, in pratica, replica la sua voce in American Dad), dicendo la loro opinione indipendente, come Perot insegna, sulla corsa alla Casa Bianca. Senza sedie vuote e gaffe sesquipedali, ma con un po’ di onestà in più.