LINTERVISTA/ Giancarlo Giannini: gioco e curiosità sono il “genio” del cinema italiano

- int. Giancarlo Giannini

GIANCARLO GIANNINI, attore e regista in Ti ho cercata in tutti i necrologi, ci racconta cosa significa per lui fare un film, recitare e cosa rappresenta il cinema italiano

Giannini_Giancarlo_DitaR439 Giancarlo Giannini (Infophoto)

Arriva di corsa e un po trafelato Giancarlo, dai capelli argento e laspetto curato. Un applauso prolungato per il regista del film Ti ho cercata in tutti i necrologi, nelle sale dal 30 maggio, che, dice «ho paura in Italia non faccia successo. Giancarlo Giannini, sorriso divertente e cravatta colorata inizia a raccontarsi, o a recitare, come solo lui sa fare, anche poco prima di aprirsi in un fiume di parole, perché ci tiene a far capire, lo ripete più volte, che il cinema italiano è da venerare e nientaltro. «Sono molto spiaciuto per il nostro amico Sorrentinogesticola – perché troppo spesso pregiudicano il nostro lavoro. Dicono che in Italia non siamo capaci, ma poi, però, lunica volta che anche il nostro Paese osa, a Cannes non lo si premia.

Nato il 1 agosto del 1942 nella città di La Spezia, sono moltissimi i personaggi che da sempre ha interpretato, perché recitare gli è sempre piaciuto. Un tutto fare dello spettacolo, ha lavorato anche come ballerino e cantante, agli inizi, in televisione con Mina, per poi catapultarsi nel migliore dei modi in quello che è il cinema che, ci racconta, «è finzione. Il cinema è finzione, per questo è divertente. Se una cosa non la si può fare nella realtà, perché non inventarsela sul grande schermo? Il bello del cinema è proprio questo. Puoi inventarti che accada tutto quello che vuoi, come un sogno che però reciti, vivi e abiti finche non lo abiteranno poi anche gli spettatori, continua a sorridere.

«Tra laltro sono cose che accadono, sta parlando della caccia alluomo di Ti ho cercata in tutti i necrologi e, nonostante lo stupore, gli crediamo. «Mentre giravamo alcune riprese del film, in Canada, abbiamo trovato in rete un annuncio di un uomo, un pazzo probabilmente, che effettivamente si lasciava cacciare, davvero, non scherzo, per 25mila dollari. Anche lidea di mettere in sceneggiatura una storia genialmente creativa e particolare come quella in cui lui stesso recita, Nikita il trasportatore di anime, è nata quindi dalla realtà perché «in Africa sono cose che accadono. Me lo hanno raccontato nel dettaglio, una volta. Soprattutto nel Sud del continente, si fanno cacciare, forse non lo dicono alle mogli, ma questo accade. Così guadagnano qualcosa. sconcertante ma queste cose succedono.

Il film del quale stiamo parlando, peraltro, si dice possa fare molto successo allestero, anche se, dice Giannini, «io non faccio film per gli altri, anzi. Quando un regista italiano mette in scena un gran bel film, la critica si nasconde dietro al fatto che sicuramente è stato pensato per esser esportato. Ma io ho diretto un film per come il film piaceva a me. Se questo piacerà allestero certo ne saremo onorati. sicuramente un lungometraggio più caratteristico per paesi come lAmerica che per gli italiani, ma – punta molto su questa cosa, sottolinea – siamo noi italiani che rischiamo sempre di non riconoscere unopera darte quando ce la troviamo di fronte. Ci tengo molto a far capire a quante più persone possibili il genio del cinema italiano, perché io sono patriottico e, soprattutto, credo che anche il nostro Paese se lo meriti davvero.

Il film, totalmente recitato in lingua inglese, è stato sicuramente difficile da portare in scena, così come impresa lunga da portare a termine, perché diversi sono i luoghi in cui tutto è stato registrato, tra città americane coloratissime, e boschi canadesi un po’ tenebri e allo stesso tempo ombrosi, rilassanti e naturali. Bellissima la fotografia, così come la scenografia, sicuramente aiutata dal paesaggio, che si divide tra Italia e oltre oceano. Nel cast due nomi importanti come Silvia de Santis, riscoperta anche musicista per il ruolo di Helen, e un amico buono e altresì molto cattivo, Hurray Abraham, alias Braque, dalla recitazione interessante, particolare allo stesso tempo. Trovare il titolo adatto non è stato semplice: «Una cosa apparentemente tanto banale, in realtà, ci ha fatto perdere moltissimo tempo. Io, ad esempio, ho proposto Il Coniglio e la Rosa, perché anche questo sarebbe stato riferimento a un’importantissima scena del prodotto finale. Però me lo hanno bannato (sorride, ndr). Dicevano sembrasse il nome di un cartone animato. Un altro headine che avrebbe potuto essere quello finale, era Esci dal mio coniglio, una battuta divertente nel lungometraggio. Ma alla fine abbiamo optato per una scena diversa, in cui Nikita parla sentitamente a Helen. Così tutto è sembrato più intrigante già dai titoli di testa».

Bellissimo sentire come Giancarlo Giannini si pone, monologando per un’ora su tutto ciò che più lo appassiona. Il teatro, il cinema e la recitazione. Una recitazione che lui chiama asincrona, poiché niente musica in parallelo, ma una tecnica che impone un eccitamento di stili, con una magia pazzesca e tutta miscelata, come solo Giancarlo Giannini ha l’invenzione di fare. O forse no, perché il grande attore lo dice che copiare è anche bello. «Anche io ho copiato, certo. Come con il gioco della battuta, che ho usato come sottotesto. Ho cercato, in questo film, di non dare tantissima importanza a quello che si dice, ma di raccontare istintivamente quello che a me sarebbe sempre piaciuto proporre. Il bello sta nel giocare, con tutto. Con la musica, con i colori e le luci, e anche con il copiare. Sì, copiare è proprio bello! Non per imitare l’altro, ma perché dal passato si può soltanto imparare. Quindi perché non dovrei vedere un bel film, farlo mio, e dire: “Da questo spezzone prendo spunto perché a me è piaciuto troppo”?. Lo ripeto spesso ai miei alunni. Glielo dico: “Copiate, ascoltate, osservate, siate attenti a ciò che vi circonda. Studiate i passi e la recitazione dei grandi attori del passato, o anche del presente. Insomma, siate curiosi nella ricerca, e nella copia”. Si inizia così; vedendo una cosa bella che si cerca di imitare! E ho fatto così anche col mio film. Non sono un regista espertissimo. La mia prima opera registica risale a circa 20 anni fa, e dirigere un intero cast di attori, per quanto questi possano essere bravi, è difficilissimo. Perché è un po’ come fare lo psicologo. Devi assecondarli, capirli, aprirti a loro ed essergli amico».

Giannini è anche un esperto doppiatore e questa volta si è trovato nella difficile situazione di dover dare voce a se stesso. «Non avrei mai immaginato sarebbe potuto succedere, ma nel ridoppiarmi mi sono trovato un poco in difficoltà. Forse perché il bello del doppiare gli altri è che non molto importa di come loro avessero recitato inizialmente. Allo spettatore arriva solo la tua voce, non la loro. Per questo il paragone non lo possono fare. Ma ridoppiar me stesso, invece, che impresa! Complessa e divertente, ma difficile. Ho dovuto recitare due volte, cercando ogni volta di migliorarmi, di aggiunger recitazione passando da una lingua all’altra».

Ti ho cercata in tutti i necrologi è un capolavoro del cinema italiano e, personalmente, un film assolutamente da vedere. Speriamo anche stavolta che Giancarlo Giannini si sia sbagliato nel dire che l’Italia troppo spesso non riconosce l’opera che davanti gli si presenta. Speriamo che stavolta, invece, la critica condivida il fatto che in certi casi, bisogna solo applaudire. 

 

(Claudia Cabrini)





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