Tra gli ospiti che questa sera si siederanno nel salotto di Che tempo che fa troveremo Gian Arturo Ferrari, esperto letterario in passato alla guida della divisione libri di Mondadori e Presidente uscente del Centro per il Libro e la Lettura (Cepell). Nato a Gallarate, in provincia di Varese, il 4 febbraio del 1944, ha iniziato la sua carriera a vent’anni, in qualità di correttore di bozze per Boringhieri, diventando poi editore e direttore editoriale. Passato alla Rizzoli alla metà degli anni Ottanta, è infine entrato a far parte di Mondadori, diventando di conseguenza il punto di riferimento non solo della casa di Segrate, ma anche di Einaudi, Sperling & Kupfer e di una parte rilevante dell’editoria scolastica. Nel 2010 ha quindi ottenuto la nomina alla presidenza del Cepell. Negli anni dal 1974 al 1989 ha anche insegnato Storia della scienza e Storia del pensiero scientifico all’interno dellUniversità di Pavia. inoltre editorialista del Corriere della Sera.
Ritenuto l’uomo più potente dell’editoria tricolore, capace di unire qualità manageriali e grande cultura, viene definito il Professore. Lui stesso ha poi ricordato come lavorare in questo settore rappresenti una impresa non proprio facile, a causa di un concetto distorto in base al quale il compito di una casa editrice sarebbe quello di pubblicare solo libri belli, scartando a priori quelli brutti.
Pochi mesi fa è stato protagonista di una rovente polemica nel corso della giornata di chiusura Buchmesse di Francoforte, quando ha affermato ufficialmente il pessimo stato dell’editoria italiana, affidando la sua riflessione proprio alle colonne del Corriere della Sera. Una riflessione che ha provocato risposte piccate, sempre sul quotidiano milanese, da parte di Stefano Mauri (gruppo Mauri Spagnol), Luigi Brioschi (gruppo Guanda) e, soprattutto Giuseppe Laterza, che sulla Domenica del Sole24Ore ha affermato che proprio Gian Arturo Ferrari, avendo diretto per tanti anni il maggiore gruppo editoriale, avrebbe la responsabilità più grande, chiedendogli al contempo di non fare la morale a nessuno.