Sparigliare le carte in tavola e ripensare l’identità del Festival di Roma. È il piano triennale del nuovo direttore Antonio Monda che ha preso un festival del cinema ricco di idee ma deficitario, come quello di Marco Muller, e lo ha ricondotto sulla strada della festa, come era agli antipodi. La nomenclatura della manifestazione sembra a chi scrive questione di pochissimo conto: quello di Roma è un festival a tutti gli effetti, ma cambia la prospettiva che Monda gli ha voluto dare.
In primis nessuna spasmodica ricerca delle anteprime internazionali, buona per fregiarsi di qualche lustrino e utili per la stampa, ma che al pubblico e alla bontà dei film dicono poco; inoltre eliminare il concorso istituzionale lasciando un solo premio alle decisioni del pubblico, togliendo così la corsa mediatica ai premi e permettendo agli appassionati di concentrarsi sui film. Perché il pubblico di riferimento di questa Festa 2015, dopo 9 giorni e una trentina di film visti possiamo dirlo con una certa cognizione di causa, è quello dell’appassionato. Non necessariamente del cinefilo, e di sicuro non dello spettatore occasionale (che sicuramente è stato sedotto da alcuni film come Pan, Legend, Game Therapy e The Walk e dagli incontri con Carlo Verdone, Paolo Sorrentino, Jude Law, Wes Anderson e Joel Coen), ma dello spettatore fedele, quello che passa uno o due giorni a settimana nel buio di una sala e che all’Auditorium Parco della Musica può passare più di una settimana di godimento.
Perché, fatta la tara sulle polemiche speciose riguardanti costi, presenza glamour e assenza di lusso, la qualità della selezione pare davvero buona, una delle migliori degli ultimi anni del festival: innanzitutto colpisce la prospettiva di partenza, ovvero meno film, perché sono state eliminate le sezioni raccogliendo tutto nella Selezione ufficiale, e quindi la possibilità di scegliere film già testati da Toronto, New York o Londra – festival che ha stretto un patto di non belligeranza chiamato partnership – e svariare tra diverse identità cinematografiche, tra diverse idee e modalità di cinema, finzione e documentario, sperimentazione o genere, cinema mainstream o ultra-indipendente, formati inusuali come la serie tv (sempre più sdoganata dai grandi festival cinematografici e qui rappresentata dal notevole “Fargo”) o il documentario breve dell’ottimo Junun di Paul Thomas Anderson. Perché il vero appassionato è bulimico e ama perdersi in percorsi tutti suoi, non delineati da sezioni ed etichette: questo lo hanno capito anni fa i grandi festival metropolitani come New York, Toronto e Torino, forse lo capirà anche Roma quest’anno.
Vedere nello stessa sala film come The Walk, gioiello di Robert Zemeckis, The Whispering Star – fantascienza estrema, rarefattissima di Sion Sono – e Room, prodotto indipendente ma di grande impatto sul pubblico, fa bene agli occhi e al cuore, e al cinema. Anche il cinema italiano presentato all’Auditorium rispetta questa estrema mescolanza: il documentario d’archivio di Gianni Amelio, la commedia borghese di Sergio Rubini, il melodramma dal respiro internazionale di Claudio Cupellini e persino la grande sorpresa del festival, Lo chiamavano Jeeg Robot, primo vero e credibile esempio di film di supereroi italiano (e non all’italiana), che se non lancia un filone dimostra la possibilità di rendere sincero ogni tipo di cinema, anche quello che parrebbe più lontano dai confini e dalla cultura nazionale.
Resta da capire se il pubblico ha realmente apprezzato la nuova vita della Festa del Cinema, rispettosa della tradizione e ricercatrice di possibilità nuove, sia per quantità di ingressi, sia per gradimento; inoltre, se è vero che il mercato all’interno del festival è in netta espansione e ha dato buoni risultati, la distribuzione italiana non è detto che sappia accogliere i film meno immediati del festival proponendoli al pubblico (e che dovrebbe essere una delle missioni principali di un festival). Si pensi a un film come Eva no duermedell’argentino Pablo Aguero, una folgore di idee cinematografiche e politiche che potrebbe restare relegata alla vendita dei dvd esteri o alla visione illegale.
Ma nonostante i se e i forse, nonostante le negatività che pure si possono riscontrare in sede di organizzazione, logistica, gestione (e di cui sicuramente leggerete abbastanza in giro), la 10a Edizione della Festa del Cinema chiude con un bilancio di visioni positivo, ricco di occasioni e sorprese. Ora, che questa scintilla si accenda fuoco, e non sia l’ennesimo tentativo che va perduto nel bisogno di capire e rinnovare, come sempre fatto finora.