Vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, Jacques Audillard stupisce e commuove ancora una volta con una regia dura nel contenuto e schietta nelle intenzioni. Come già ne Il Profeta e in Un sapore di ruggine e ossa, infatti, in Dheepan Audillard mette al centro della scena la violenza, senza dare scampo a noi spettatori, che, sequenza dopo sequenza, siamo sempre più rapiti dalla vita, dagli sguardi, dalle emozioni che scandiscono le azioni dei protagonisti del film.
La storia, per di più, è di struggente attualità. Si parla, infatti, di guerra e di fuga da un Paese, lo Sri Lanka, dilaniato dai sanguinolenti scontri tra il Governo e le Tigri Tamil. È per questo, per scappare a un presente da combattente, che Dheepan, il protagonista, con in mano i documenti di una famiglia caduta vittima della guerra, convince una donna e una bambina mai viste prima a fingersi sua moglie e sua figlia. Destinazione di questo lungo viaggio è Parigi, che li accoglie come può, dando loro se non il benessere, quanto meno l’illusione della pace.
Invece, dopo un periodo da venditore ambulante, Dheepan ottiene il posto di guardiano in un condominio della banlieue. Per tutti e tre, così, l’incubo della violenza ricomincia.
Audillard è molto bravo nel lasciar percepire da ogni parola pronunciata oppure non detta, da ogni sguardo, da ogni gesto dei suoi personaggi il senso di disagio rispetto alla situazione attuale, di provvisorietà, ma anche di pacifica rassegnazione. Anche se la sensazione più palpabile, soprattutto da quando l’uomo, la donna e la bambina arrivano nei sobborghi parigini, è il senso di circospezione che fa procedere con il fiato sospeso non solo i protagonisti, ma anche noi che assistiamo alla loro vita e, in qualche modo, la condividiamo con essi. Al punto che il ritmo emotivamente incalzante di quanto accade sullo schermo ci accompagna a voler divorare le scene per arrivare sino a uno sperato lieto fine. Perché tutto, in questo film, sembra reale.
Si potrebbe dire molto sulla violenza raccontata da Audillard. Da quella subita per mano della guerra, a quella che costringe i nostri protagonisti a vivere lontani da casa, in un mondo dove la lingua, la cultura e le tradizioni sono molto diverse da quelle della propria terra. È violenza anche quella che li accoglie, una volta arrivati nella banlieue parigina, sotto forma di regole di “vicinato” stabilite dalle gang del posto e che scandiscono, limitandoli, i loro gesti. Questo genere di violenza si mescola con la solitudine iniziale che aspetta Dheepan e la sua “nuova” famiglia al loro arrivo in questo luogo di non civiltà. Solitudine sociale, sicuramente indurita dal fatto che Dheepan e le sue donne non parlano francese, e solitudine dentro le mura di casa, in cui ognuno di loro tre conserva il ricordo della propria terra e dei propri affetti senza voler dar cenno di aprirsi all’altro.
La loro, soprattutto quella tra l’uomo e la donna, è una comunicazione essenziale, di pacifica convivenza. Audillard è molto bravo nel farci percepire, se non addirittura vivere, la lontananza che li divide e nello stesso tempo l’emotiva – e anche fisica – necessità che questa distanza diminuisca.
I personaggi, interpretati da attori modesti che, però, grazie a questa loro qualità esprimono al meglio il senso di realismo di questa storia, crescono scena dopo scena. Individualmente, certo, ma soprattutto come famiglia, andando progressivamente a dissipare la solitudine che li divideva e rafforzando il senso di unità che li renderà, presto e contro ogni aspettativa a causa un presente duro e violento, un nucleo felice e sorridente.