Prendere un filone, se non un genere, e seguirlo pedissequamente con lobiettivo di catturare e rassicurare il pubblico senza mai spiazzarlo un attimo. Sorprende che questa operazione chiamata Duri si diventa porti la firma di Etan Cohen (da non confondere con uno dei due fratelli premio Oscar, Ethan Coen), sceneggiatore di commedie folli e a tratti geniali come Tropic Thunder di Ben Stiller.
In questo film racconta di un uomo ricco e arrogante che viene incastrato per frode e condannato a 10 anni. Nei 30 giorni che la corte gli concede per sistemare i suoi affari, offre 30 mila dollari a un uomo di colore che ritiene essere un avanzo di galera per sopravvivere al carcere; ma quelluomo è un semplice impiegato che accetta per i soldi non conoscendo minimamente le regole della strada.
Scritto da Cohen con Jay Martel, Ian Roberts e Adam McKay, Duri si diventa è una commedia degli equivoci che si mescola con il buddy movie, gag di stampo contemporaneo, spirito popolare e urbano e tracce di thriller per un film che Cohen sembra però non sapere indirizzare in una direzione soddisfacente.
Il film con il pretesto della parodia dei drammi suburbani per neri e degli stereotipi razziali, si inserisce nel filone della commedia contemporanea con cui lAmerica prova a mettere in scena le nuove versioni della lotta di classe, concetto che meno americano non si potrebbe e che pure dopo quel World Trade Center economico che fu il crollo della Enron è divenuto sotterraneo e presentissimo nel tessuto statunitense: qui ovviamente, si scontrano tanto gli elementi socio-economici e quelli razziali – il bianco magnate delleconomia raccomandato del suocero e preda di manie di grandezza, il nero impiegato tutto casa, lavoro e famiglia con laspirazione piccolo borghese alla ricchezza – sullo sfondo di un film già non troppo interessante che sfocia nella pura mediocrità quando decide di darsi a un finale poliziesco del tutto fuori luogo e accomodante.
Quello che dovrebbe salvare il film allora, viste la capacità di Cohen, sono le scelte comiche e umoristiche, ma i personaggi sono consunti, i toni sono indecisi e la verve debole e ciò che è peggio mancano quasi del tutto i tempi e i ritmi della risata e del cinema: poche gag, tirate per le lunghe, senza costruzione, sperando che la situazione in sé o gli attori possano dare il meglio.
Ma se colui che dovrebbe essere il tuo faro comico, ovvero Will Ferrell, è al nadir del suo talento, bolso e mai convinto del suo personaggio, e Kevin Hart fa i salti mortali per trarre il meglio da un personaggio asfittico, allora si può poco per salvare un’operazione sbagliata in più parti, che anche in America hanno gradito meno del solito.