Chistian Wolff, cresciuto tra le difficoltà dell’autismo e dell’abbandono da parte della madre, ha messo a frutto il suo incredibile talento per i numeri, diventando un insospettabile contabile al servizio di alcune delle organizzazioni criminali più pericolose del pianeta. Finito sotto la lente del Dipartimento di Stato, Christian assume un incarico da un cliente onesto, la Living Robotics, per liberarsi da ogni accusa e sospetto. In realtà, ben presto scoprirà nella società che lo ha incaricato degli ammanchi che nascondono una truffa di dimensioni imprevedibili. Pedinato dal Dipartimento di Stato e ricercato dagli stessi uomini della Living Robotics, Christian si troverà a dover fuggire dalla morte, aiutato da un nutrito pacchetto di armi, maneggiate con impareggiabile destrezza.
Il trailer ci racconta, con musica e montaggio incalzante, la storia di un bambino nato diverso e cresciuto diverso. Una storia commuovente, intrisa di eroismo che trova la sua migliore espressione nell’Affleck adulto, contabile dalle mille risorse nascoste, coinvolto in vicende traboccanti di mistero e pericolo. Una buona promessa per un film d’azione che sembra garantire ritmo e contenuti. Ma al cinema The Accountant si trasforma in un intreccio pasticciato che regge in sceneggiatura, ma delude in sala. Un minestrone di storie che si intrecciano generosamente, palesando la volontà (insoddisfatta) degli autori di offrire una storia diversa e originale.
Alle origini della vicenda scopriamo la storia di Christian, il giovane Affleck, colpito da autismo, abbandonato dalla madre ed educato dal padre con piglio militaresco, nel tentativo di offrire al figlio le armi per difendersi, in un futuro di probabile solitudine. Il racconto dell’eroica infanzia del bimbo prova a scaldarci il cuore, preparando la strada all’arrivo del supereroe.
Ben raccoglie i cocci del suo passato doloroso e li trasforma in un presente virtuoso, che unisce genio matematico e coraggio da guerriglia. Conteso tra l’ordinaria razionalità del contabile e la straordinaria energia dell’eroe senza macchia e senza paura, Affleck domina la scena di questo film d’azione che genera quantità, più che qualità.
Gavin O’Connor si impegna per dare un ordine e un senso a questo susseguirsi di spunti narrativi, attingendo emozioni sparse dal pozzo dei desideri infranti. Il risultato è una pioggia di trame e sottotrame che sviluppano materiale per più film, più generi e più pubblici, senza soddisfarne alcuno.
L’infanzia tradita, l’apologia dell’autismo, i drammi familiari, rinascita e riscatto, genio e sregolatezza, la frode fiscale, il crimine internazionale, le armi, l’educazione militare, il doppio gioco, gli scheletri nell’armadio, la psicologia analitica, la resa dei conti, la storia d’amore, la voglia di cambiare, le lauree in economia, finanza e buoni sentimenti. Tanto, troppo. Di più. Con l’azione che si incrocia con l’umano e l’umano che si incrocia con l’assurdo.
Un nuovo eroe muscolare, alla Jason Bourne, travestito da contabile, con la faccia monolitica di Ben Affleck che qui trova quasi una giustificazione alla sua assenza di espressione, rinchiuso nel muro dell’autismo.
Alla fine non ci si appassiona in fondo di nulla e di nessuno. E il film d’azione soffre di sindrome da complicazione e buonismo consolatorio. Bocciato senza riserva.