FIORE/ Il film per ricordare cos’è la vera libertà
Claudio Giovannesi ha presentato al Festival di Cannes un’intensa e commovente storia di adolescenza e sentimento vissuti alle periferie. La recensione di LUCIA DEVESCOVI

Claudio Giovannesi ha presentato al Festival di Cannes Fiore, un’intensa e commovente storia di adolescenza e sentimento vissuti alle periferie. Daphne è una ragazza allo sbando, che si ritrova detenuta in un carcere minorile dopo l’arresto per rapina. La sua vita cambia quando per caso, attraverso le sbarre di una finestra, conosce Josh, anche lui giovane rapinatore. Tra i due comincia a farsi largo un rapporto di amicizia che si trasforma ben presto in qualcosa di più.
I giorni da carcerata di Daphne si susseguono tra liti e indisciplina, in quattro mura che la soffocano. Ma Josh sembra risollevarle la detenzione, anche se i loro sono rapidi sguardi, parole dietro le sbarre e bigliettini clandestini nel carrello della mensa. Infatti, è proibito che maschi e femmine stiano a contatto.
Daphne però sembra più leggera e si espone a comportamenti che le costano richiami e rischi di punizioni, pur di vedere il ragazzo più da vicino. Il difficile rapporto con il padre non le allevia il dolore. Anch’egli con un passato da carcerato non si può occupare di lei e rifiuta l’affidamento, per poi però ottenere due giorni con la figlia, su permesso del giudice. Ma la storia timida con Josh sembra spezzare il cuore della ragazza quando si fa di nuovo viva la sua ex fidanzata, portando via a Daphne l’unico sollievo.
Davvero toccante e riflessivo, il film del regista di Alì ha gli occhi azzurri è un concentrato di dolore e sentimento, che mostra come anche dentro un carcere l’uomo è capace di amare e sognare. La libertà è qualcosa di per niente scontato e soprattutto per Daphne e Josh è la possibilità di amarsi con semplicità.
La ragazza che sembra così cinica nasconde un lato di profonda insicurezza e dolore che si lascia sfuggire solo poche volte in lacrime e che si rivela invece nel suo comportamento così insubordinato e schivo, che altro non è che una difesa.
Gli attori si rivelano essere davvero espressivi e professionisti nel mettere in scena il dramma che prende vita nel cuore dei due giovani. La sceneggiatura è semplice, i dialoghi concisi e chiari, consoni all’ambiente e lo spettatore prova quasi pietà per un’adolescenza non libera di esprimersi e sottoposta al peso dell’abbandono.
La fuga sembra rimanere l’unica alternativa per vivere nell’instante il sentimento bruciante, senza aspettare la fine della reclusione. Ma forse Daphne è stanca di scappare, forse vuole una vita libera, ma libera davvero.
Chissà, forse è proprio questo che dicono i suoi occhi quando, nella scena finale, guarda Josh, mentre il treno su cui sono riusciti a salire la porta via dal carcere, da suo padre e dall’unica vera possibilità di regolare i conti con la giustizia e finalmente respirare l’aria fuori dalle sbarre, ma senza doversi più nascondere.
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