Ha fatto della cucina vegetariana il suo marchio di fabbrica ed è spesso impegnato a diffondere il suo credo tra i carnivori accaniti e i puristi dei piatti carichi della nostra tradizione, attirandosi polemiche e attacchi gratuiti da chi non ama il suo stile un po’ zen. Tempo fa aveva avuto uno screzio con Masterchef proprio per questo motivo, scrivendo una lunga lettera aperta agli autori del programma in cui lanciava una pertinente stoccata contro lo sbilanciamento tra piatti onnivori e vegetariani presenti in trasmissione: “Proponete uno stile alimentare superato già da un decennio”.
Per lui la tesi principale era, ed è ancora, essere lo specchio di quello che mangiamo; ingurgitare un carico smodato di proteine animali va contro la summa orientaleggiante di elevare la propria spiritualità attraverso il cibo. Questa crociata salutistica, con potenti innesti dalle culture di Cina e Giappone, dove Leemann ha vissuto parecchio tempo, solca la sua formazione tracciando un segno indelebile che l’ha portato a diventare uno dei massimi esempi di cucina vegetariana nel mondo. Il suo ristorante Joia, aperto nel 1961 a Milano, è il tempio della sua filosofia. Agli autori di Masterchef aveva chiesto un attimo di riflessione per instaurare un confronto a carte scoperte e stabilire chi aveva ragione. Al Joia questo sentimento di protezione verso quello che fa, lo esprime attraverso opere culinarie di grande valenza nutrizionale. Il suo lavoro meticoloso gli ha fatto guadagnare molti riconoscimenti prestigiosi, tra cui una stella Michelin ottenuta nel 1996 dopo sette anni dall’apertura del suo locale a Milano. L’attacco a Masterchef non gli ha fatto perdere la stima dei giudici del programma e Pietro Leemann sarà quindi ospite in occasione della finale della nuova edizione del talent culinario di Sky Uno, insieme ad Igles Corelli e Matias Perdomo. Sicuramente saprà instillare nei concorrenti i concetti alla base del suo sapere attraverso piatti semplici dove il cruelty free domina sull’estetismo e il veganesimo più modaiolo. L’impiego di una cucina vegetariana aiuterà i giovani finalisti a focalizzarsi sulla materia prima del patrimonio ortofrutticolo regionale senza perdere di vista il risultato di livello che Pietro Leemann richiede.
Lo chef svizzero è stato tra i primi in Europa ad aprire uno spazio in cui le verdure e la frutta fossero gli elementi cardine di un modello di ristorazione. L’anno scorso, per proseguire la sua lotta contro l’imbarbarimento di una cucina squilibrata verso l’attenzione alle carni, ha fondato con il giornalista gastronomico Gabriele Eschenazi l’associazione culturale The Vegetarian Chance. All’interno di questo progetto Leemann tiene seminari, lezioni, showcooking e veri e propri contest in cui chiunque abbia qualcosa da dire sul vegetarianismo può offrire la propria testimonianza culturale e spiegare la ragione per cui ha abbracciato questa scelta di vita. La fatica palpabile con cui insegna alle nuove generazioni questo stile alimentare è un inno alle potenzialità dei frutti della terra e della salvaguardia della salute delle persone attraverso una nuova consapevolezza alimentare. Leemann persegue l’obiettivo dal 1961 e anche a Masterchef la sua dottrina sarà preziosa per chi nutre verso i carnivori una forte antipatia e pensa che essere vegetariano sia l’unica scelta possibile per salvare il nostro pianeta.