La lettera di un elettore che ha votato Sì al referendum per l’allargamento dei criteri di cittadinanza. “Era la posizione di chi costruisce”
Caro direttore,
quella del referendum sul Sì alla cittadinanza “breve” è stata una sconfitta, ma lo è stata anche sul piano culturale, nel senso che oggi si vede più chiaramente la situazione non tanto dell’individualismo (un’evidenza ormai scontata), quanto della sua vera natura: la paura dell’altro!
Non ci sono reati, per quanto statisticamente rilevanti e per quanto gravissimi, che giustifichino il mancato riconoscimento della cittadinanza breve anche solo per uno straniero che meritava di acquisirla, essendo in regola con l’iter di legge che riconosce lo stato di integrazione, in molti casi anche “virtuosa”.
Infatti, non solo a quell’unico straniero è stata negata la sua umana e personale aspirazione a riconoscersi parte di una comunità, così com’è per ciascuno di noi italiani, ma soprattutto vien fatta un’ingiustizia, quando quello straniero è un artigiano o un imprenditore, che magari ha assunto dipendenti italiani, e via dicendo.
Si vada a chiedere presso la Camera di commercio della propria città quante sono le imprese o ditte che gli stranieri hanno messo in piedi! Si faranno delle scoperte incredibili: nell’area accorpata di Milano, Monza e Brianza e Lodi le imprese di stranieri sono state nel 2024 ben 67.607, pari al 17,3% del totale (dati del 3 aprile 2025, Demografia imprenditoriale, sito Unioncamere).
Chi renderà giustizia a quel solo straniero? Chi lo ripagherà degli sforzi e delle fatiche alla ricerca della felicità, del benessere e dell’istruzione per sé e per i propri figli?
“…ero forestiero e non mi avete accolto” (Mt 25,43): va bene aver perso il referendum, va bene prendere atto dell’individualismo più stagnante, ma ciò che io ritengo più grave, anzi gravissimo per un cattolico che sia andato a votare votando No al referendum sulla cittadinanza, è il fatto di aver negato a quello straniero un atto di giustizia.
Questo fatto deve far pensare, perché capisco la destra che vuole l’ordine su tutto e prima di tutto, e capisco la sinistra che pur è incline a una sana socialità (ma scivola sempre sull’equivocità del socializzare purchessia). Ma quel che trovo irricevibile è la posizione di alcuni cattolici che, per vocazione, dovrebbero possedere il senso della persona (che è di più dell’individuo, che è di più del socializzare) e del suo destino, e si lasciano manipolare.
Anche quel cattolico che ha votato No si comporta (troppo) spesso come chi giudica la realtà con la pancia; anch’egli è un individualista come tutti gli altri, con la mentalità di tutti; anch’egli magari va a Messa e ascolta il Vangelo, ma, uscito di chiesa, è come tutti gli altri, indistinguibile e anonimo. Cristiani in chiesa o nei propri movimenti, assimilati agli altri nella società (e perciò inesistenti?).
Capisco, certo, che nell’attuale Babele, che Leone XIV in piazza San Pietro domenica scorsa denunciava, i cattolici italiani non trovino univoca rappresentanza politica, data la follia dell’attuale polarizzazione, ma dov’è finita la capacità di giudicare la realtà, con un giudizio proprio: le cose, le persone, i fatti?
Comunque, come è stato detto al Giubileo dei Movimenti, sulla strada che “percorriamo insieme, affamati e assetati di giustizia, non occorrono sostenitori potenti, compromessi mondani, strategie emozionali” (Leone XIV). Ma che almeno non valga per il cristiano il vecchio detto di Ezra Pound: “se un uomo, sempre e comunque, non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono niente, o non vale niente lui”.
C’è infine, nella sconfitta del Sì, un’evidente mortificazione per tutte quelle comunità e associazioni del Terzo settore, del mondo cattolico e non, che lavorano da decenni per l’accoglienza e l’integrazione, come Casa Suraya o l’associazione ASCS a Milano, Cara Ruth a Caserta, l’Usmi e, a valanga, tantissime altre; senza dimenticare i tanti insegnanti delle scuole pubbliche, statali e non, che si fanno in quattro per potenziare l’apprendimento degli studenti stranieri.
Certamente chi al referendum si è espresso per il No ha dalla sua il fatto dell’illegalità e della malavita che vede coinvolti degli stranieri. Non si tratta di censurare alcun aspetto della realtà, ovviamente, ma il punto è dove e a chi guardare: ai costruttori della realtà o agli opinionisti? Se sono le esperienze che legittimano e danno dignità alle idee, perché scegliere sempre il negativo e non le buone prassi?
Per uscire dagli schemi e non cedere a posizioni ideologiche, bisogna dunque saper guardare alle esperienze di significato che esistono oggi sui migranti e che sono rappresentate da chi costruisce percorsi che, a termini di legge, agevolano e incrementano dal basso quella politica auspicata anche dal nuovo papa: superare “la rottura iniziata a Babele – che ci mette gli uni contro gli altri”, aprire “le frontiere tra i popoli” e infrangere “le barriere fra le classi e le razze” (Leone XIV, 8 giugno 2025).