Un caso sospetto di colera è stato registrato a Brescia: una persona proveniente dalla Nigeria è arrivata in Italia il 29 gennaio e ha accusato sintomi gastrointestinali per i quali è stata ricoverata in terapia intensiva. Dalle prime analisi effettuate è emersa la positività al vibrione del colera. Anche se parliamo di un caso sospetto, sono subito scattate le misure previste.
Comunque, Danilo Cereda, responsabile Prevenzione in Regione Lombardia, ai microfoni del Tgr sul caso precisa che non c’è alcun allarme e nessun rischio su colera Brescia, a differenza di altre zone del mondo dove questa malattia è endemica: “Quello che è già stato fatto è stata l’identificazione dei contatti stretti, la sorveglianza sanitaria sugli stessi e, quindi, tutto il percorso di contact tracing che permette di identificare familiari e persone che lo hanno soccorso“.
COLERA BRESCIA, “NESSUN PERICOLO IN ITALIA”
Non è noto se il paziente del colera Brescia sia un uomo o una donna, quel che si sa è che era arrivato da poche ore in Italia ed è subito scattato il protocollo sanitario. Non c’è alcun pericolo per la collettività, anche perché in Italia c’è un alto tenero igienico, l’acqua che esce dai rubinetti è clorata e controllata, quindi non ci sono rischi rispetto al passato e “la contaminazione è molto rara“.
COLERA BRESCIA: COS’È MALATTIA, SINTOMI E CURE
Il colera è un’infezione dell’intestino che può mostrarsi con diversi sintomi, dalla diarrea al vomito, anche in maniera molto improvvisa, ma comunque causando disidratazione. Il periodo di incubazione va da uno a tre giorni, ma nella maggior parte dei casi chi è infettato può non mostrarne. Tra chi li manifesta, c’è una piccola parte che può sviluppare una forma grave del colera, che richiede la reintegrazione dei liquidi a causa del rischio disidratazione. Per arrivare alla diagnosi bisogna individuare il batterio nelle feci o dal vomito.
La malattia può durare qualche giorno e manifestarsi anche in forma lieve, come una semplice gastroenterite, ma comunque le cure sono facili e c’è pure un vaccino orale a disposizione.
Invece, a proposito delle cure, gli antibiotici sono usati per le forme più gravi della malattia o per gli anziani e i pazienti più a rischio. La trasmissione può avvenire se c’è un contatto con feci o cibi contaminati, anche se non è diretto.
Se in Italia non c’è pericolo di un’epidemia, il discorso cambia all’estero, in particolare in Africa. Già nel marzo scorso l’Oms lanciò un allarme dopo anni di progressi. Ora ne riparla Zambruni, che guida l’Unità di Emergenza per la salute pubblica dell’Unicef, secondo cui la situazione mondiale non ha precedenti, motivo per il quale ha invitato a intervenire con più decisione.