Negli ultimi dieci anni, il congedo di paternità in Italia ha registrato un significativo aumento. Secondo i dati diffusi da Inps e Save the Children, la percentuale di padri che ne usufruiscono è passata dal 19,2% nel 2013 al 64,5% nel 2023, quindi è più che triplicata. Tuttavia, il quadro mostra forti differenze territoriali, economiche e contrattuali che ancora incidono sulla sua effettiva fruizione.
Attraverso i dati dell’Inps possiamo delineare il profilo del padre che più frequentemente usufruisce del congedo di paternità: è un lavoratore con un contratto stabile, un reddito medio-alto e risiede nel Nord Italia. L’analisi rivela in particolare che il 70% dei beneficiari ha un contratto a tempo indeterminato, mentre solo il 40% ha contratti a tempo determinato e il 20% tra i lavoratori stagionali ne fa uso. Inoltre, l’83% dei padri con redditi compresi tra 28.000 e 50.000 euro annui usufruisce del congedo, percentuale che scende al 66% tra coloro che guadagnano tra 15.000 e 28.000 euro.
Anche la dimensione dell’azienda influisce significativamente sull’utilizzo del congedo di paternità. L’80% dei padri impiegati in aziende con oltre 100 dipendenti ne usufruisce, mentre la percentuale scende al 40% nelle imprese con meno di 15 dipendenti. Anche geograficamente le differenze sono rilevanti, al Nord il 76% dei padri aventi diritto utilizza il congedo, al Centro il 67%, e al Sud e nelle Isole solo il 44%. A livello regionale, si passa dal 79% del Veneto al fanalino di coda della Calabria con il 35%.
Il congedo di paternità ha un ruolo chiave nel promuovere una maggior equità nella suddivisione dei carichi familiari. Il Presidente dell’Inps, Gabriele Fava, ha sottolineato come l’aumento dell’adozione del congedo di paternità sia indice di un cambiamento culturale in corso, ma ha anche evidenziato che circa il 35% dei padri aventi diritto ancora non ne usufruisce. “Promuovere il congedo di paternità produce effetti concreti: favorisce un legame precoce tra padre e figlio, con benefici duraturi sulla loro relazione, e contribuisce a una distribuzione più equilibrata delle responsabilità familiari e della conciliazione vita-lavoro delle donne”, ha dichiarato Fava.
Anche Save the Children, attraverso la sua Direttrice generale Daniela Fatarella, ha ribadito l’importanza di ampliare ulteriormente questa misura, rendendola accessibile a tutti i lavoratori e prolungandone la durata. Secondo l’organizzazione, un congedo più lungo garantirebbe una maggiore equità tra uomini e donne, contribuendo a superare gli stereotipi di genere e migliorando il benessere delle famiglie.
Introdotto nel 2012, il congedo di paternità ha progressivamente esteso la sua durata, arrivando agli attuali 10 giorni retribuiti. Uno studio dell’Istituto superiore di sanità ha rilevato che il 90% delle coppie considera il congedo troppo breve, inoltre il 69% delle madri e il 72% dei padri ritiene che non solo dovrebbe essere esteso, ma sottolinea anche l’esigenza di politiche più inclusive.
Sebbene l’Italia abbia fatto passi avanti, il confronto con altri Paesi europei mostra come ci sia ancora ampio margine di miglioramento. In Spagna, ad esempio, il congedo di paternità è equiparato a quello materno, con 16 settimane retribuite al 100%, mentre in Svezia il sistema prevede 480 giorni complessivi da suddividere tra i i genitori. L’Europa sta incentivando politiche più inclusive attraverso la Direttiva Ue 2019/1158, che prevede almeno due mesi di congedo parentale retribuito per ogni genitore, un obiettivo ancora lontano in Italia.
Un’estensione della durata e l’inclusione dei lavoratori autonomi e precari potrebbero rappresentare i prossimi passi per favorire una maggiore equità tra madri e padri e incentivare la conciliazione tra vita privata e lavorativa di entrambi i genitori. Tuttavia, circa un terzo dei padri aventi diritto ancora non usufruisce del congedo, poiché permangono barriere culturali e strutturali da superare che indicano la necessità di ulteriori iniziative di sensibilizzazione. Il timore di essere penalizzati sul posto di lavoro, la mancata retribuzione al 100% e la precarietà contrattuale limitano l’accesso al congedo, soprattutto tra chi lavora in settori meno tutelati.
Per promuovere una condivisione equa delle responsabilità familiari, è essenziale implementare politiche che estendano la durata del congedo e ne incentivino l’utilizzo, indipendentemente dalle condizioni lavorative e geografiche.
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