A Washington – sotto l’attenta regia americana – la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda hanno firmato un accordo preliminare che punta a ridisegnare i fragili equilibri della regione: in un incontro presieduto dal segretario di Stato USA Marco Rubio, i ministri degli Esteri Therese Kayikwamba Wagner e Olivier Nduhungirehe si sono impegnati a rispettare la sovranità reciproca e a lavorare a un’intesa definitiva di pace entro il 2 maggio.
L’intesa resta comunque circondata da molte perplessità: negli ultimi mesi, il Congo è stato teatro di nuove violenze a causa delle offensive del gruppo ribelle M23, responsabile della conquista di diverse città e dello sfollamento forzato di centinaia di migliaia di civili e più di 7.000 persone hanno perso la vita in questa nuova ondata di conflitto, mentre il Ruanda – accusato di sostenere militarmente ed economicamente i ribelli – continua a negare qualsiasi coinvolgimento diretto.
Nonostante la firma, resta difficile immaginare come un accordo possa effettivamente arginare le azioni del M23, un soggetto ambiguo, strettamente legato a Kigali ma formalmente autonomo; la dichiarazione di principi firmata a Washington include anche clausole economiche, tra cui accordi su investimenti e sfruttamenti minerari che coinvolgerebbero entrambi i Paesi e gli Stati Uniti, in un intreccio di interessi che complica ulteriormente il fragile percorso verso la stabilità.
Congo e Ruanda: la difficile strada verso la pace tra ombre e interessi economici
L’iniziativa diplomatica americana ha come obiettivo placare una delle crisi più dure della regione africana, ma appare evidente come il vero banco di prova sarà la capacità dei governi di Kinshasa e Kigali di tradurre le promesse in atti concreti: la presenza del segretario di Stato USA a Washington mette in evidenza il peso strategico che la regione del Congo orientale, ricchissima di risorse minerarie, riveste per gli interessi globali.
La firma del documento non cancella però la complessità del conflitto: mentre il Ruanda promette cooperazione, sul terreno il M23 continua a rafforzare le sue posizioni, lasciando aperta la questione se il governo di Paul Kagame sia realmente disposto a frenare i ribelli o se – al contrario – preferisca mantenerli come strumento di pressione.
Nel frattempo, la popolazione civile resta la principale vittima di questo gioco di potere, in una spirale di violenza che rischia di vanificare ogni tentativo di mediazione e nonostante l’accordo preliminare preveda investimenti e collaborazioni economiche con il supporto degli USA, resta il dubbio se la logica della pace possa prevalere su quella del profitto.