I manager possono contribuire a creare ambienti di lavoro stimolanti che facciano bene alle persone, ai risultati, e a loro stessi
I cambiamenti epocali che stiamo vivendo stanno modificando profondamente la natura del lavoro e delle modalità attraverso le quali le persone producono i risultati. Ma le nostre organizzazioni faticano a recepire queste trasformazioni. La maggior parte dei contesti lavorativi, infatti, è governata da una struttura gerarchica – nata in un mondo che non esiste più – che si basa su un meccanismo molte semplice: chi “sta sopra” dice a chi “sta sotto” cosa deve fare. Specularmente, chi “sta sotto” attende le istruzioni dall’alto.
Questo sistema, che premia l’obbedienza e l’esecuzione, non può rispondere alle domande di velocità, di continuo cambiamento e di collaborazione oggi necessarie per ottenere risultati, che sono prodotti soprattutto da come le persone lavorano insieme e interagiscono tutti i giorni. Le soluzioni migliori nascono quando le persone vicine ai problemi e alle opportunità mettono insieme le informazioni, le competenze, i dubbi, le idee, gli errori e gli apprendimenti. Ma affinché ciò accada, si devono creare le condizioni. E i manager possono farlo più di tutti gli altri.
Sembra paradossale ma sono proprio i manager e le manager a pagare l’inadeguatezza della gerarchia tradizionale. Perché ancora oggi, chi “sta sopra”, pur essendo spesso il meno informato, continua a essere chiamato a decidere. Si crea così un eccesso di stress in alto e un eccesso di frustrazione e deresponsabilizzazione in basso. Questo circolo vizioso va spezzato.
Pensate se, ad esempio, gli addetti vendita di un supermercato, che vivono a stretto contatto con i clienti, potessero far sentire la propria voce: quante informazioni qualitative sul comportamento dei clienti, su come sviluppare le vendite, su come la sede può supportare i negozi si aggiungerebbero ai report numerici che arrivano “in alto”?
In altri articoli abbiamo scritto che i team esprimono il proprio potenziale solo se le persone che li compongono percepiscono sicurezza psicologica, cioè, se hanno la convinzione di potersi esporre senza il rischio di essere punite, isolate o umiliate per aver fatto sentire la propria voce.
Ed ecco, allora, la direzione verso cui far evolvere il ruolo manageriale, trasformandolo in una risorsa per creare un clima sicuro in cui le persone possano parlare apertamente e con franchezza, fare proposte, darsi feedback e (perché no?) avere conflitti produttivi che rafforzano la comprensione e contribuiscono ad alimentare l’innovazione, l’apprendimento e la motivazione.
Ma cosa può fare un manager per coltivare la sicurezza psicologica nel proprio team?Fondamentalmente tre cose.
Primo, aiutare le persone a collocare il proprio lavoro in una visione più ampia per comprendere meglio gli impatti e prevenire il più possibile gli errori. L’abitudine a “eseguire” spegne la testa, ma oggi c’è bisogno dell’intelligenza di tutti. In questo senso è molto utile che il manager crei spazi dove il team impari progressivamente a lavorare con maggior autonomia trovando le risorse in se stesso, senza ricorrere continuamente “al capo/capa”.
Secondo, incoraggiare e accogliere positivamente chi si espone per fare domande, per dare feedback, per condividere un tema critico ma importante. Anche il disaccordo va valorizzato perché il controcanto illumina i coni d’ombra e arricchisce le soluzioni.
Terzo, condividere i propri errori stimolando le persone a fare lo stesso. Condividere gli errori è un gesto fondamentale per crescere. Parlarne, comprenderli e imparare insieme ad affrontarli ci aiuta a evitarli, a prevenirli e a usarli bene per esplorare i nuovi territori.
La sicurezza psicologica è la condizione abilitante per liberare il potenziale individuale e di team. I manager possono contribuire in modo determinante a coltivarla, creando ambienti di lavoro stimolanti che facciano bene alle persone, ai risultati, e a loro stessi.
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